Non ce n’era particolare bisogno, ma continuano ad arrivare chiari e autorevoli allarmi in questo senso. Al XVII Forum dell’agricoltura e dell’agroalimentare, tenutosi qualche giorno fa a Cernobbio, il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, ha affermato che “lo scorso anno le notizie di reato nel comparto agroalimentare hanno registrato un balzo del 58% toccando tutti i principali segmenti del food dal biologico al vino, dall’olio d’oliva all’ortofrutta”.

In questo senso, dunque, ha ricordato che la riforma dei reati agroalimentari “resta una priorità per il nostro settore”. La bozza di riforma in questione fu elaborata da una commissione appositamente istituita a tal fine presso il ministero della Giustizia e presieduta da Gian Carlo Caselli, che concluse i suoi lavori ormai tre anni fa e consegnò all’allora ministro Orlando uno schema organico di disegno di legge.

Gli assi del lavoro della commissione erano due: da un lato, una razionalizzazione di un sistema normativo complicato e frastagliato come quello della materia agroalimentare, attraverso una ricostruzione delle fonti esistenti e una loro semplificazione; dall’altro, una modernizzazione e un adeguamento dell’uso dello strumento penale, calibrato su quella che dovrebbe essere (auspicabilmente) la nuova tavola di beni giuridici del terzo millennio, non più necessariamente ancorati solo al “terribile diritto”, quello di proprietà, e ai suoi satelliti.

Beni giuridici nuovi che richiedono strumenti di difesa diversificati e innovativi, con un occhio di particolare riguardo al fondamentale principio di prevenzione. Questi e altri stimolanti presupposti analitici e concrete proposte di riforma (dall’ “agropirateria” al “disastro sanitario”) muovevano dall’elaborazione della categoria di “patrimonio agroalimentare”, che nel testo “Caselli” trovava un suo espresso riconoscimento.

Quello stesso testo normativo, da parte parlamentare, negli ultimi tre anni è stato prima recepito in un disegno di legge; poi posto a base di un emendamento alla legge Europea 2015; infine, ha costituito oggetto di un ordine del giorno al Senato di “impegno” nei confronti del Governo, con il sostegno “trasversale” di senatori di diversi gruppi parlamentari. Nessuna di queste iniziative, svoltesi nella scorsa legislatura, ha prodotto risultati concreti.

La sostanziale assenza, a tacer d’altro, nella gestione di questa vicenda da parte degli ultimi due esecutivi (Renzi e Gentiloni) probabilmente non è estranea a quella specie di affossamento che ha subito questo progetto legislativo. Progetto che, peraltro, come si ricordava, aveva voluto proprio il ministro di giustizia Orlando, che era tale in entrambi i governi. Il governo Gentiloni, in realtà, quel testo lo recepì in un disegno di legge del Consiglio dei ministri nel dicembre 2017. Ma si trattò di un gesto poco più che simbolico dato che si era in una legislatura per la quale era ormai iniziato l’ultimo giro di orologio.

Oggi “il legislatore” italiano è completamente nuovo, o almeno così ama presentarsi: sia quello parlamentare (ossia la maggioranza) che quello governativo. In questa specifica materia, fino a questo momento, i tratti di novità paiono molto più sedicenti che reali. Anche perché, da ciò che si è visto in questi mesi, pure nel caso di questo esecutivo questa materia non sembra proprio in cima all’agenda di governo. Forse, come nel caso della vicenda della legge ecoreati, che presenta notevoli punti di contatto con questa, dovranno essere i settori più avanzati della cittadinanza attiva a provare a far riscrivere, anche solo parzialmente, quell’agenda. È questione di salute pubblica.

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