L’articolo 41 del decreto Genova – peggiorato dall’emendamento ampliativo presentato dalla maggioranza – vuole consentire di smaltire in agricoltura fanghi pesantemente contaminati da idrocarburi, diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico.
E non solo non ha niente a che vedere con l’emergenza Genova ma soprattutto consente al partito degli inquinatori, spalleggiato dai suoi soliti consulenti aziendali, di raggiungere un risultato lungamente vagheggiato attraverso una distorta lettura delle norme comunitarie ed italiane, bloccato fortunatamente nel 2017 da una approfondita sentenza della Cassazione (Cass. sez. 3 Pen., 6 giugno 2017, n. 27958) relativa proprio all’uso di fanghi pesantemente contaminati da idrocarburi che la difesa sosteneva lecito in quanto non vietato dalla normativa speciale sui fanghi.
In quell’occasione, la suprema Corte precisava giustamente che quella normativa non poteva essere richiamata in quanto riguarda fanghi derivanti da scarichi civili e non fanghi che, per le loro caratteristiche (come la presenza massiccia di drocarburi) “non risultano ammissibili per l’impiego in agricoltura perché, in larga misura, derivano, come nel caso in esame, da attività produttive che generano scarti liquidi di natura industriale”, e possono quindi essere impiegati in agricoltura solo dopo uno specifico ciclo di trattamento che ne renda compatibile l’impiego con la destinazione finale, “dovendo essere ricondotti alle stesse caratteristiche di un fango derivante da scarichi civili e quindi depurato di tutte quelle componenti di contaminazione tipicamente di origine industriale”. Tanto più che quella normativa vieta l’uso di fanghi con sostanze tossiche e nocive, e/o persistenti e/o bioaccumulabili.
Peraltro – dice sempre giustamente la Cassazione – non è vero che per i fanghi non ci sono limiti ma sono invece applicabili quelli previsti in generale dal 2006 per le bonifiche di aree degradate.
Negarne l’applicazione porterebbe altrimenti all’assurdo di prevedere limiti alla contaminazione di un rifiuto se questo rifiuto viene impiegato per rimodellamenti morfologici di aree degradate o, peggio ancora, per lo smaltimento in discarica e non prevedere alcun limite se lo stesso rifiuto viene impiegato sul terreno semplicemente a beneficio dell’agricoltura, con il rischio di contaminarne i prodotti e grave pericolo per la salute pubblica.
Ma è proprio a questo punto che si inserisce il decreto Genova, innalzando in modo abnorme questi limiti: per gli idrocarburi, ad esempio, si passa da 50 a 1000. E lo stesso dicasi per le altre sostanze pericolose già citate. Il tutto aggravato dalla metodica indicata per l’accertamento, che, in sostanza, rischia di eliminare del tutto anche questi limiti.
Insomma, stiamo passando dalla padella nella brace. E se certamente ha ragione il ministro Costa quando sostiene che i fanghi da depurazione “fino ad oggi non sono mai stati adeguatamente controllati, e nelle maglie larghe di una normativa non completamente aggiornata con le attuali conoscenze scientifiche, nei campi potevano finire anche sostanze inquinanti”, mi sembra che la soluzione dovrebbe essere quella di disporre adeguati controlli e fissare limiti stringenti, non di ampliare a dismisura i limiti oggi previsti – come ricorda la Cassazione – per le sostanze pericolose.
In conclusione, a mio avviso, senza neppure bisogno di scomodare il principio di precauzione, questo articolo 41 è una vergogna nazionale che va eliminata al più presto con tante scuse agli italiani che hanno creduto e credono in un cambiamento.
A questo proposito, però, è altrettanto vergognoso che oggi chi più strilla contro questo articolo sia chi, fino a pochi mesi fa, ha avallato e difeso le tante porcherie sull’ambiente che ci ha ammannito il governo Renzi e co. (si rileggano il decreto sblocca Italia). E forse un minimo di autocritica dovrebbero farlo anche i Verdi di Angelo Bonelli che oggi attaccano giustamente questo articolo 41 ma pochi mesi fa non hanno esitato ad allearsi elettoralmente proprio con il partito di Renzi, fino a pochi giorni prima aspramente (e giustamente) criticato.