Un’area di oltre mezzo milione di metri quadrati trasformata in discarica di rifiuti pericolosi e oltre 5 milioni di tonnellate di residui industriali stoccate. Per questo, secondo il gip del tribunale di Taranto, da sequestrare. Il decreto disposto dal giudice è stato eseguito dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Taranto che ha messo i sigilli ad alcuni siti, gestiti dall’Ilva, ubicati al confine nord dello stabilimento nelle adiacenze della Cava Mater Gratiae e gravina Leucaspide.
Tra i 9 indagati ci sono sono anche i componenti della famiglia Riva che facevano parte del cosiddetto “Consiglio di famiglia”, una struttura “occulta – scrive il gip nel provvedimento di sequestro – retta da un Patto di famiglia, all’interno della quale erano prese tutte le decisioni più importanti che riguardavano la gestione degli stabilimenti”. Appare ovvio, secondo il giudice Vilma Gilli, “che la decisione di occultare la situazione delle cosiddette collinette, dato il suo enorme rilievo ambientale ed economico, sia stata assunta proprio all’interno di tale struttura”. Il provvedimento di sequestro con informazione di garanzia è stato notificato a Fabio Arturo, Claudio, Nicola, Cesare Federico e Angelo Massimo Riva (che facevano parte del Consiglio di famiglia), all’ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto Luigi Capogrosso, a Renzo Tomassini (responsabile delle discariche per rifiuti industriali a servizio del centro siderurgico); Antonio Gallicchio (responsabile del Laboratorio Ecologia, Oli e Circuiti); e Domenico Giliberti (redattore della rendicontazione del piano di caratterizzazione Ilva-Sanac).
I siti, gestiti dall’acciaieria e ubicati al confine nord dell’area del siderurgico, per una superficie complessiva pari a circa 530.000 metri quadrati, secondo l’accusa erano stati trasformati in discariche di rifiuti pericolosi. Sono nove le persone indagate per disastro ambientale nel procedimento collegato. Le indagini hanno permesso di individuare oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti industriali pericolosi e non pericolosi in cumuli dell’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna.
Gli indagati devono rispondere a vario titolo per i reati di disastro ambientale doloso, distruzione e deturpamento di risorse naturali, danneggiamento, getto pericoloso di cose e mancata bonifica dei siti inquinanti. Gli indagati avrebbero gestito le predette aree, senza metterle in sicurezza, evidenziando una precisa volontà di porre in essere un disegno illecito volto a trarre un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente in un risparmio degli oneri economici occorrenti per la loro bonifica.
Secondo l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Mariano Buccoliero, gli indagati ognuno per il proprio ruolo “non effettuando la dovuta ed obbligatoria attività di controllo e sorveglianza, nonché occultando il reale stato dei luoghi costituito da circa 5 milioni di tonnellate di cumuli di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale situati su tutto l’argine sinistro della gravina Leucaspide sino al limite del confine con l’azienda agricola di proprietà della famiglia De Filippis, consentivano l’utilizzo e comunque mantenevano, senza metterle in sicurezza, diverse discariche abusive a cielo aperto dei rifiuti di cui sopra per le quali non era istituita alcuna documentazione contabile ambientale anche ai fini della tracciabilità e garanzie finanziarie per la fase di post-gestione”.
In tal modo avrebbero determinato “la realizzazione ed il mantenimento di grandi depositi costituiti dai suddetti rifiuti dall’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna”. Tutte opere, scrive il gip, “prive di copertura e rimedi contro lo spandimento di polveri pericolose per la salute, frane (dei depositi di cui sopra) e dispersione in falda del percolato“. Così, secondo la contestazione degli inquirenti, “a seguito di ripetute e prevedibili frane dei cumuli di rifiuti che precipitavano nella gravina, determinavano il mutamento della morfologia della stessa con l’occupazione del fondo di essa ad opera dei suddetti rifiuti (su terreno demaniale e privato), cagionando la deviazione del corso d’acqua ivi esistente”. In questo modo, “inquinando l’ambiente circostante e le acque pubbliche torrentizie che scorrevano nel letto della gravina, acque che insieme a quelle meteoriche, dilavavano i predetti cumuli, trasportando gli stessi e le sostanze nocive contenute per tutta l’estensione della gravina, depositandoli, in ultimo, anche nei terreni dei De Filippis, nonché nella falda sottostante”. Infine, gli indagati non avrebbero proceduto “alla dovuta attività di bonifica, cagionando un grave disastro ambientale” e “alterando e distruggendo una zona di grande pregio paesaggistico e sottoposta alla relativa tutela”.