Lo sappiamo tutti, buona parte del consenso che il M5s ha accumulato in questi anni e che gli ha consentito di diventare il primo partito d’Italia (ora già non più) si è basato sull’opposizione che il Movimento ha fatto alle grandi opere: Tap, Tav, Terzo valico sono le più rilevanti.
Sul Tap il consenso è già scemato: dall’opposizione si è passati all’avallo, complici le penali. Che poi penali non sono (e qui hanno ragione i No Tap), ma piuttosto risarcimenti danni che lo stesso presidente del Consiglio Conte ha quantificato in una forbice tra i 20 ed i 35 miliardi di euro. Non bisognava essere degli economisti per comprendere che un’opera di carattere internazionale, di quelle dimensioni, che la magistratura finora ha ritenuto legittima, non si potesse interrompere semplicemente con un “abbiamo scherzato”.
È lecito allora pensare che quando il M5s ha affermato (anche per bocca di Di Battista) che il Tap sarebbe stato fermato fosse in buona fede, ma non avesse guardato, colpevolmente, le carte. Altrimenti si dovrebbe pensare che fosse in mala fede e cavalcasse l’onda della protesta per accaparrare voti. Ma voglio pensare/sperare che non sia così. Sarebbe stupido e autolesionista. Piuttosto, non comprendo perché non si applichi al Tap quell’analisi costi-benefici che il governo vuole applicare a tutte le opere pubbliche non ancora terminate o in progetto. Analisi che sembra contenuta nell’articolo 27 del contratto di governo, seppure non chiarissimo nella sua formulazione: “Occorre inoltre recuperare risorse attraverso una politica tariffaria basata sull’analisi del rapporto tra costi e benefici, individuare e dare ascolto ai bisogni e alle esigenze del territorio coinvolgendo gli stake holder qualificati e gli utenti.”
Questa dunque è la domanda: perché il governo non fa la stima dei risarcimenti danni e dei danni ad ambiente e territorio, compresi i servizi ecosistemici indicati dall’Ispra per il Tap? Non sarebbe più serio, piuttosto che limitarsi a dire che costa troppo non fare l’opera?
Rilevate queste carenze, viene da domandarsi cosa accadrà per le altre opere. Per la Tav Torino-Lione lo stesso articol 27 recita esplicitamente (è l’unica grande opera citata): “Con riguardo alla Linea ad alta velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”. L’impressione è che il M5s voglia bloccare questa grande opera. E la conferma la si avrebbe anche dal fatto che a guidare la “struttura di missione” relativa ai costi-benefici Toninelli abbia incaricato Marco Ponti, uno dei maggiori esperti internazionali in materia di trasporti, da sempre contrario (dati alla mano, si intende) alla Tav.
Ma l’impressione è anche che il Movimento – dopo aver perso il consenso dei No Tap – non possa assolutamente perdere quello dei No Tav. Da quando è nato, il Movimento è stata l’unica formazione politica esplicitamente contro la linea ed in valle in molti comuni era già il primo partito grazie proprio a questa lotta. E poi, a detta dello stesso Paolo Foietta, a capo dell’Osservatorio Torino-Lione, la rinuncia all’opera costerebbe “solo” quattro miliardi.
Ma non vorrei che il Tav diventasse solo una merce di scambio con la Lega (che le grandi opere le farebbe tutte) per realizzare tutto il resto. Dal Terzo valico alla Tav Brescia-Verona, dalla Pedemontana Veneta alla Orte Civitavecchia, dalla autostrada della Valdastico al futuribile Ponte sullo Stretto.
Lo stesso Marco Ponti, in un recente intervento ha affermato: “L’amministrazione passata ci ha lasciato con solo 132 miliardi di scelte strettamente politiche e nessuna valutazione (nemmeno finanziaria, o con stime di traffico, si badi, altro che Abc!)”. La speranza è che si ridiscuta tutto ciò che si può ridiscutere alla luce di una effettiva convenienza, non solo economica. Solo così almeno su questo terreno il governo svolterebbe effettivamente pagina.