L’attenzione per la difficile situazione politica ed economica del Paese potrebbe incentivare le persone a informarsi meglio, ricercando proprio nei talk televisivi – spesso biasimati secondo gli ospiti del programma dai fan dei vari schieramenti politici – quell’approfondimento che può rilevarsi carente in altre fonti d’informazioni.

Non ci sono dati che confermino questa ipotesi, ma si registra nel corso del 2018 un aumento, seppur contenuto, del consumo televisivo, spezzando il trend di decrescita che andava avanti da alcuni anni. Aumentano soprattutto gli ascoltatori dei programmi d’informazione, in particolare dei principali talk informativi, come quelli in onda su La7 (rete che proprio su questo genere realizza le sue fortune). Il programma Otto e Mezzo, per esempio, ha avuto (dalla formazione del governo in carica) un incremento di pubblico, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, del 36%, arrivando a uno share medio del 7%, ampiamente superiore alla media di rete. DiMartedì ha quasi raddoppiato il suo pubblico (circa 1,7 milioni) arrivando all’8% di share, mentre Piazza Pulita supera in media il 6%.

Altri interessanti dati provengono da una recente ricerca sul consumo dei media del Censis. Secondo questa ricerca si registra, nella scelta delle fonti d’informazione, una risalita dei Tg (che passano dal 61% del 2017 al 65% del 2018), dei siti web d’informazione (dal 10 al 13%); mentre calano i più famosi social. Facebook passa dal 35 al 26% e Twitter dal 5 al 2%. Per quanto riguarda il livello di affidabilità dei mezzi d’informazione, gli italiani ritengono che la radio (la “vecchia” cara radio che sta riscoprendo un insolito revival) sia il mezzo più affidabile con il 70%, seguita dalla tv (69%); mentre i social network chiudono la classifica con il solo 34%.

Lo scandalo Cambridge Analytica e la relativa percezione di “essere usati” piuttosto che “usare” il social – ma soprattutto il sacrosanto dubbio che ogni informazione possa essere una fake news, che possa essere manipolata, che vi siano società che condizionano il giudizio delle persone travisando la notizia – allarma molti. Il rischio di assecondare i troll in modo del tutto involontario è ben presente: portati a condividere una certa linea politica si finisce per appoggiare tutte le tesi a sostegno di questa linea a prescindere dalla sua attendibilità.

E poi ci sono le ingiurie: un continuo turpiloquio contro gli avversari politici, volgarità allo stato puro. La “fuga” dai social nasce da questa riprovevole situazione e spesso si preferisce un loro uso più blando, usando maggiori cautele nel recepire ciò che si legge. Si arriva a selezionare meglio i referenti da seguire, correndo il rischio di avere un’informazione parziale, quella già in linea con ciò che “si vuole sentir dire”, rifiutando a priori il confronto.

Può essere quindi vero che i timori per il futuro portino a selezionare meglio le proprie fonti d’informazione, scegliendo i talk più pluralisti, dove vi sia possibilmente un confronto pacato fra le varie opinioni e soprattutto con la presenza di esperti veramente tali. La radio, perché si basa sulla parola e non sull’immagine e quindi è obbligata a ponderare bene ciò di cui si discute. La stampa, cartacea e on line, che molti erroneamente danno per morta (proprio sulla stampa è invece più facile trovare gli esperti più preparati).

Nel cambiamento del quadro della comunicazione politica sembra proprio che lo “stare in rete”, che affascina ancora molti politici, non sia più determinante.

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