"Rossini!" (terzo lavoro del direttore d'orchestra) mescola tensione narrativa e divulgazione e racconta (tra l'altro) la lite del compositore con la principessa Carolina di Brunswick, che fu regina d'Inghilterra. Come si può dare più energia alla lirica? "Puntare di più sulle opere contemporanee, perché il pubblico può sentirle più vicine a sé"
Mi rincresce molto, principessa eccellentissima, ma non potrò essere presente al suo ricevimento a Villa Caprile, per via di un fastidiosissimo mal di schiena che mi impedirebbe di seguire gli inchini di prammatica. Rispose più o meno così, per iscritto, Gioachino Rossini per declinare l’invito della principessa Carolina di Brunswick, carattere tremendo come le sue pretese rigidissime sull’etichetta. E infatti la futura regina d’Inghilterra – che in quei tempi
Promosso dal Comune di Pesaro che quest’anno ha celebrato il suo figlio più grande per i 150 anni dalla morte, Rossini! è il modo che Mantanus – con le illustrazioni di Alessandro Baronciani – usa per parlare ai ragazzi delle scuole medie di uno dei compositori più rappresentati nel mondo (il quarto dopo Verdi, Mozart e Puccini).
La storia è quella di tre ragazzi curiosi che mentre assistono alla Gazza si ritrovano al cospetto di una “presenza misteriosa” in uno dei tanti teatri in cui rivive lo spirito di Rossini. Quasi un giallo, anche se non c’è un morto (non ammazzato perlomeno). “Ho cercato di fare qualcosa che fosse leggero per i lettori a cui è destinato pur raccontando i cardini della figura di Rossini, anche perché credo che a 11 anni Rossini sia l’ultimo dei problemi – dice Mantanus al fatto.it – E’ un modo per farli entrare in un mondo, non solo quello di Rossini, ma di tutta l’opera e di tutto il teatro. E’ comunque il primo contatto per i ragazzi col teatro. Io sono convinto che il teatro non abbia colore: offre moltissime forme di creatività”. Mantanus mescola una certa tensione narrativa alla divulgazione per avvicinare un po’ di più i più giovani alla musica (cos’era il fortepiano, qual è il soprano), sul teatro in musica (cos’è la cavatina, cos’è l’aria), sul teatro in generale (il loggione, il foyer, le quinte) ed è per questo che è una lettura anche per i grandi. Mantanus posa per un momento la bacchetta da una parte, impugna una steadycam e accompagna il lettore-spettatore dalla ribalta alle quinte, stanza dopo stanza, dallo sfarzo della sala del teatro al casino e alla polvere della specie di ripostiglio in cui l’orchestra attende prima di entrare nella buca: “E’ quasi scioccante – sottolinea Mantanus, serio – E’ come sulle navi da crociera, la sala sfarzosa e poi finisci nel locale motori, tutto sporco. Ma è qualcosa anche di affascinante perché mostra la macchina che c’è dietro al sogno”.
Mantanus, può essere Rossini – con la sua energia, con il suo ritmo – un modo per avvicinare i più giovani al mondo dell’opera e della classica in generale?
Rossini può avere certo un ruolo nell’avvicinamento dei più giovani a questo mondo. Ma non è scontato che una musica frizzante come quella che ha reso celebre Rossini sia l’unica strada. Ho avuto esperienze molto sorprendenti: non sai mai cosa può attrarre una persona, anche molto giovane. Rossini però, sì, può essere un modo per avvicinare ai cardini del teatro musicale italiano e mondiale. Può essere l’ingresso in un mondo che però resta eterogeneo dove vive la cultura, dove vive la mente, dove vive l’uomo.
La sua collega Speranza Scappucci tempo fa ha fatto un appello per reinserire la musica a scuola. Stefano Bollani, ospite del Fatto.it, ha detto di non essere d’accordo perché può fare l’effetto opposto. Lei da che parte sta?
Probabilmente in mezzo. La musica va insegnata, perché comunque è una lingua, ma deve avere anche la funzione di trasmettere una passione. La difficoltà sta nell’inquadramento corretto delle persone, avere un quadro costruttivo. La questione non è il numero di ore di musica che si fanno a scuola, ma se è un buon modo per accendere la scintilla e per assicurare un sostegno vero, organico, riflettuto. Non può essere il solito flauto, poi. Per esempio il metodo migliore secondo me sarebbe cantare. A Milano c’è l’esempio dell’Aslico (l’Associazione Lirica Concertistica Italiana, ndr): gli studenti assistono all’opera e quando c’è un coro cantano anche loro dalla sala.
Ma quindi secondo lei, per dare nuova energia alla lirica, bisogna anche recuperare lo spirito con cui si andava a teatro al tempo di Rossini, quando si assisteva alle opere mentre si mangiava, si beveva, si giocava a carte. Il teatro diventava un modo per socializzare.
Alla lirica di oggi in realtà manca la capacità di creare/rappresentare opere contemporanee. Al tempo di Rossini si andava all’opera in quel modo anche perché poi c’era lui sul palco, tanto che quando gli chiedevano l’ennesimo bis lui si alzava dalla buca dell’orchestra e protestava che se continuavano così, oltre a non capire più niente della storia, il soprano non sarebbe arrivato alla fine dell’opera. La questione è il rapporto tra la creatività e il pubblico, il rapporto con la contemporaneità perché l’opera d’arte, quindi anche un’opera lirica, dev’essere vissuta dalla gente. Alla Scala, per esempio, ha avuto molto successo CO2 di Giorgio Battistelli. Perché si parla di ambiente, parla di questioni del nostro tempo. Parla della nostra civiltà. Lo stesso successe con 1984 di Lorin Maazel. L’ideale, secondo me, sarebbe: due terzi del programma opere contemporanee e un terzo repertorio. Se ne fai una sola contemporanea e magari non piace, sembra che tutta la contemporanea sia brutta. Ma magari se ne fai cinque, due sono buone, due così così e una brutta”.