A 26 anni dalla sua fondazione, la Central European University, l’università di Budapest finanziata dal magnate e filantropo americano di origini ungheresi George Soros, rischia di lasciare la capitale magiara e trasferirsi a Vienna. “Se entro il 1 dicembre non sarà firmato l’accordo tra governo e stato di New York per legalizzare la nostra presenza, noi lasceremo Budapest”, ha dichiarato giovedì il rettore Michael Ignatieff. Per scongiurare l’addio dell’ateneo, colpito nel 2017 dalla cosiddetta “legge Soros” che impone a tutte le università straniere in Ungheria di avere un campus anche nel loro Paese d’origine, gli Stati Uniti nel caso della Ceu, è stata coinvolta anche la diplomazia americana: “Un accordo è ancora possibile”, ha detto l’ambasciatore Usa David Cornstein.
Lo scontro tra l’ateneo di Soros, “il nemico pubblico numero uno” secondo il primo ministro ungherese Viktor Orbán, e il governo a guida Fidesz è iniziato ad aprile 2017, quando il Parlamento in meno di tre ore di discussone ha approvato con larga maggioranza la legge sul nuovo ordinamento dell’Istruzione Superiore. Il testo prevede che tutte le università straniere in Ungheria debbano avere un campus anche nel loro Paese d’origine. Dei 28 atenei stranieri presenti nello Stato magiaro, solo uno non rispettava questo requisito: la Central European University. Per questo la legge ha subìto numerose critiche, additata come un provvedimento ad personam, ennesima puntata nell’eterno scontro tra il premier e il magnate.
La diatriba nata intorno all’ateneo è finita poi alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo e sui banchi del Parlamento di Bruxelles che, con la maggioranza di due terzi, ha votato in favore dell’applicazione dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che può portare anche a sanzioni contro il Paese. Tra i provvedimenti più criticati dai gruppi parlamentari e contenuti nella relazione Sargentini, che ha rilevato una grave minaccia allo Stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali nello Stato membro, c’è proprio la norma che colpisce l’università di Soros.
Dalla promulgazione della nuova legge ungherese, la Ceu dice di aver provveduto a soddisfare tutte le richieste previste dal nuovo testo, compresa l’apertura di un campus negli Stati Uniti, Paese dove ha sede l’ateneo, grazie all’accordo con il Bard College dello Stato di New York, nell’estate 2017. Ma per permettere all’università di mantenere la propria sede ungherese c’è bisogno della firma del governo sul contratto che legherebbe formalmente la Ceu al Paese europeo. Firma che non è ancora arrivata. “Vogliamo restare qui – ha dichiarato il rettore Ignatieff – Ma saremo costretti ad abbandonare un Paese che è stato la nostra casa per 26 anni. Questa nostra decisione entra in vigore il 1° dicembre e anche in questi ultimi giorni stiamo cercando una soluzione che ci consenta di rimanere a Budapest”.
Parole che sanno di rassegnazione, nonostante non siano ancora tramontate tutte le possibilità, come tiene a precisare l’ambasciatore americano in Ungheria a cui è stato chiesto di interpretare il ruolo di mediatore tra il governo e l’ateneo: “Il Ceu rimane una priorità per il governo degli Stati Uniti e ha un enorme sostegno bipartisan in Usa – ha precisato il diplomatico – Comprendo la posizione del Ceu: un’incertezza prolungata non è sostenibile per un’istituzione accademica. Tuttavia, una soluzione è ancora possibile. C’è una piccola finestra ancora aperta, ma tutto deve accadere velocemente”.
Il governo Orbán rimane però fermo sulle sue posizioni, secondo quanto dichiarato dal capo di Gabinetto del primo ministro, Gergely Gulyás: “L’attuale legge sull’educazione universitaria contiene un’opzione che autorizza il conferimento di diplomi comuni a Stati Uniti e Ungheria che poi non hanno necessità di ratifica – ha detto – Se la Central European University non sfrutta questa opportunità è chiaro che la assumiamo come una scelta politica”.