Tutti conoscono Roomba, l’aspirapolvere prodotto da iRobot che pulisce i pavimenti in autonomia. Le versioni più recenti si possono programmare affinché il robot si accenda automaticamente quando non siete a casa. Il progresso tecnologico non è certo finito qui. iRobot pensa di poter fare di meglio consentendovi, per esempio, di decidere quale stanza della casa pulire, o di avviare il robot con un comando vocale.

Sono questi alcuni dei motivi alla base dell’accordo stretto con Google, che dovrebbe aiutare iRobot a sfruttare i dati ambientali generati dai suoi Roomba. I modelli di ultima generazione sono già in grado di creare mappe, usando una combinazione di immagini a bassa risoluzione e dati di odometria. Quest’ultima è la tecnica che stima la posizione di un veicolo misurando, tramite sensori, lo spazio percorso dalle ruote e l’angolo di sterzo.

Unendo le informazioni di tutta la base clienti, ed elaborandole nella maniera apposita, si potrebbero creare piani di pulizia personalizzati. Per esempio, si potrebbe chiedere a Roomba di pulire la cucina. Adesso per farlo dobbiamo trasportarlo “a mano” nella stanza specifica e chiudere la porta, perché il robot non sa distinguere la cucina dal salone. In futuro potrebbe farlo, e potremmo assegnargli questo compito sfruttando l’assistente vocale di Google, Google Assistant. Pensate insomma di dire al robot “OK Google, dì a Roomba di pulire la cucina”.

Non solo, secondo Google e iRobot, questi stessi dati potrebbero essere preziosi per lo sviluppo di altri dispositivi domestici intelligenti. Per esempio, una volta in possesso delle mappe, i dispositivi connessi all’assistente vocale di Google potrebbero individuare le lampadine intelligenti e conoscerne la posizione. L’obiettivo è sempre lo stesso: poter dire a Google Assistant: “OK Google, accendi le luci in cucina”.

In prospettiva, quella che finora abbiamo chiamato “casa intelligente” potrebbe diventare una “casa premurosa” in un futuro nemmeno troppo lontano. Una casa, insomma, che si adegui alle richieste dei clienti e che li coccoli.

Tutto sembra molto bello, ma come spesso accade c’è anche il rovescio della medaglia. La premessa per beneficiare di tutti questi servizi è cedere un pezzetto (l’ennesimo, N.d.R.) della nostra privacy. Perché dovremmo permettere al Roomba di spedire a Google le mappe della nostra casa. Quello che oggi è un prezioso collaboratore domestico, insomma, domani potrebbe diventare una spia.

Certo, Google non ha una reputazione paragonabile a quella attuale di Facebook quanto a fughe e violazioni di dati personali dei clienti, ma non è certo l’acqua santa. Solo poche settimane fa sono finiti a rischio i dati di 500mila clienti di Google Plus, che ha chiuso i battenti. E a quanto pare i dati dei clienti del sistema operativo Android finiscono (anche) nelle mani di aziende terze.

I responsabili di iRobot e Google assicurano che qualsiasi informazione condivisa da iRobot non finirà nel calderone delle lucrose attività di Google. La motivazione è che “questi dati non aiutano [a spingere] gli attuali prodotti Google”. Magari quelli di oggi no, ma quelli di domani? Come ci hanno insegnato le innumerevoli vicende del settore hi-tech, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Dato che dovreste essere voi ad acconsentire volontariamente alla condivisione delle mappe, pensateci bene prima di dare il vostro assenso.

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