La clessidra (1973) di Wojciech Has
Premio della giuria alla 26esima edizione del Festival di Cannes, La clessidra può essere annoverato fra i capolavori sommersi del cinema polacco, di cui Has è tra i più delicati maestri. Per metà surreale e per metà grottesca, la narrazione è ricamata attorno alla visita di Józef al vecchio padre, ricoverato in un sanatorio della mitteleuropa. Pur di concedere qualche altro giorno di vita al genitore, il protagonista accetta una terapia bizzarra, ritrovandosi fagocitato in uno straniante loop dove lo spazio e il tempo si confondono nella dimensione del ricordo. Intrappolato fra le proprie memorie, finisce così per perdersi nel labirinto della sua stessa mente. Rileggendo le storie di Bruno Schulz, il cineasta di Cracovia mette in scena la continua genesi di universi barocchi, popolati da personaggi da camera delle meraviglie. Una tendenza all’horror vacui che non fa altro che alimentare la claustrofobica impressione di venire trascinati fra le sbarre di una gabbia da cui, una volta entrati, non si può più fuggire. L’opening scene del film vale da sola una buona dozzina di filmografie.