Non giriamoci intorno. Il tunnel della ValSusa (detto impropriamente Tav, non c’è alcuna linea ad alta velocità in costruzione da quelle parti) è un inutile e costoso buco di 57 km nelle Alpi su una linea che funziona oggi a un sesto delle sue potenzialità, soprattutto perché non c’è grande traffico, né di merci né di passeggeri; per scoraggiare davvero il traffico su gomma serve ben altro e non solo a Torino: prendere misure tariffarie che favoriscano i treni rispetto ai tir, fare un piano serio di riorganizzazione della logistica e delle linee pendolari intorno a Torino, riadattare alcune linee risalenti al primo Novecento, per esempio quella diretta a Genova, e magari avere più treni a disposizione.
A parte il paradosso di tutti i commenti e articoli su una linea ferroviaria ad alta velocità che è in realtà un tunnel, stiamo perciò parlando di un’infrastruttura non prioritaria, a voler essere generosi. Un tunnel, peraltro, che non sarà pronto prima di vari lustri, costerà tantissimo per assicurarne esercizio e manutenzione e che si trova su una tratta appena riammodernata che può reggere un traffico sei volte più intenso di quello di oggi; un tunnel, infine, che non riuscirà da solo a risolvere nessuno dei problemi di cui si chiacchiera, come il presunto isolamento di Torino, visto che le linee di adduzione al tunnel rimangono quelle attuali e che in Francia si deciderà se costruirne di nuove nel 2038!
Inoltre, è bene sfatare la leggenda dei contributi europei che andrebbero persi. Non possono essere persi perché non sono ancora stati stanziati e comunque sono erogati a lavori eseguiti. La Ue decide i contributi per tranches di 7 anni, nell’ambito di quelle che si chiamano le prospettive finanziarie e per ora ne ha concessi anche troppi, a mio avviso, ma solo per lavori preliminari e studi (2007/2013-2014/2020). Infatti, il contributo della Ue per la costruzione del tunnel, che non è ancora cominciata, dato che i 4,5 km costruiti sul tracciato della futura linea sono definiti come parte di un cunicolo geognostico, arriveranno (se arriveranno) dopo un duro negoziato in sede europea nel quadro della definizione del bilancio dell’Unione, quello che Di Maio e Salvini vorrebbero tagliare. Peraltro, ci sono in pista altri due valichi alpini, quello del Brennero e il Terzo valico. E’ abbastanza improbabile che tutti e tre possano essere finanziati adeguatamente dalla UE, dato che ci sono moltissime altre opere candidate in ognuno degli altri 26 paesi (quasi 26).
E poi: infrastrutture come la Tap ci inchiodano a un futuro fossile. Mentre bisogna puntare su rinnovabili ed efficienza, vero “gas” del Belpaese, e attrezzare rapidamente il territorio e le nostre città, se non vogliamo bollire per temperature sempre più ardenti o finire trascinati da alluvioni e altri disastri. Il gas è un combustibile fossile, rilascia emissioni e invece che legarci a obblighi di importazione dobbiamo organizzarne l’uscita dal nostro mix energetico al più presto, se vogliamo davvero affrontare di petto i cambiamenti climatici e limitarne gli effetti, che sono ogni giorno più evidenti e devastanti.
Peraltro, la Commissione europea – e non qualche Ong ambientalista – dice da anni che ogni punto in più di efficienza energetica riduce del 4% le importazioni di gas e può portare a 336mila nuovi posti di lavoro. E la International energy agency ha detto ormai qualche tempo fa che se vogliamo aumentare di un po’ le nostre speranze di fermare a 1,5° il riscaldamento del pianeta, dobbiamo lasciare sottoterra l’80% degli idrocarburi da estrarre, di cui fa naturalmente parte anche il gas.
Ma la ridda di polemiche sulla Tav e sulla Tap è soprattutto strumentale ad attaccare il Movimento 5 stelle e non si sofferma se non superficialmente (appunto, non c’è nessuna Tav!) sui meriti di tunnel o gasdotto. La “mitologia” Tav e quella dell’Italia come “hub” del gas, è iniziata molto prima dell’arrivo dei 5 stelle. Ed è un cavallo tragicamente sbagliato da cavalcare per l’opposizione, almeno quella che si vuole moderna, che ha recentemente scoperto le virtù dell’ecologia “cool” e che vuole portare il Paese fuori da una visione assistenzialista e tollerante su evasione e condoni. C’è una contraddizione totale fra la decisione di considerare strategica e indispensabile la scelta di un gasdotto, la decisione di investire oltre 3 miliardi di euro in un tunnel inutile nelle Alpi e l’obiettiva urgenza di attrezzare il nostro Paese e di riorientare il nostro sistema produttivo ai drammatici cambi che si preparano nel nostro modo di vivere e di guardare al tempo che fa fuori dalla finestra.
Ormai, il ragionamento di Keynes secondo il quale va benissimo fare buche e ricoprirle investendo denaro pubblico perché si crea reddito non vale più. Il punto è che si devono scegliere con accuratezza le buche che si fanno perché non tutte sono uguali. Se così tante persone innocenti muoiono perché tira vento e cascano gli alberi, se ogni anno oltre 80mila persone muoiono precocemente per l’inquinamento dell’aria, non è meglio riorientare quelle risorse ingenti verso il mantenimento in salute del territorio e delle città, incluso ripensare un sistema di trasporti locale, regionale e nazionale che molto più di una singola infrastruttura sarebbe in grado di assicurare una circolazione di merci e passeggeri che metta al centro sostenibilità e efficienza? Si parla del partito del Pil: ma il Pil non è una categoria valoriale. È un numero, che non misura né qualità della vita e del lavoro, né benessere, né istruzione, né sicurezza, né bellezza e integrità dell’ambiente. E nel XXI secolo non ci può essere vera crescita economica senza mettere al centro queste priorità.