Lo zucchero è un killer, come alcol e sigarette. Ad alte dosi fa aumentare il rischio di sovrappeso, obesità, diabete 2 (che deriva dall’obesità) e malattie cardiache. E in Italia ne consumiamo troppo: stando agli ultimi dati dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare dell’Istituto superiore di sanità (2008-2012), circa 100 grammi al giorno, pari al 20,7 per cento delle calorie assunte, cioè il doppio di quello consigliato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Per prevenire i cattivi stili di vita allora, anche da noi è partita una campagna per introdurre la sugar tax, una tassa sulle bevande zuccherate sul modello di quella inglese entrata in vigore lo scorso aprile. Promossa dal Fatto alimentare, ha già raccolto l’adesione della Società italiana di diabetologia (Sid), l’associazione nazionale dietisti (Andid), la Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), l’European childhood obesity group (Ecog) e Slow medicine. Trovando d’accordo anche l’Istituto superiore di sanità.
La proposta è contenuta in una lettera aperta al ministro della Salute e prevede il divieto di pubblicità di prodotti destinati ai bambini sbilanciati dal punto di vista nutrizionale e di tassare del 20 per cento le bibite zuccherate con valori progressivi. Per esempio in Gran Bretagna, la tassa è di 18 pence al litro (0,20 euro) per bibite con un contenuto variabile da 5 a 8 grammi di zuccheri per 100 ml, mentre se il contenuto supera gli 8 grammi per 100 ml l’importo sale a 24 pence al litro (0,27 euro).
Con gli introiti della sugar tax, circa 240 milioni di euro l’anno, si vogliono promuovere programmi di educazione alimentare e di avvio allo sport nelle scuole, sconti alle famiglie meno abbienti sul prezzo dei pasti distribuiti nelle mense, e messaggi promozionali in tv. La stessa Oms raccomanda ai governi di tassare i soft drink per combattere diabete e obesità, ricordando che un prelievo del 20 per cento ne riduce di un altrettanto 20 per cento il consumo. In molti Paesi del mondo la sugar tax è già realtà: oltre che nel Regno Unito, anche in Finlandia (dal 1940), Norvegia (1981), Ungheria (2011), Francia (2012), alcune città degli Stati Uniti (tra 2014 e 2016) e Messico (2014). In quest’ultimo caso, dopo due anni le famiglie più povere avevano limitato già del 11,7 per cento gli acquisti di bevande zuccherate, mentre il resto della popolazione del 7,6.
Anche se l’associazione dei produttori italiani (Assobibe) è convinta che le vendite subiranno dei cali, l’obiettivo della sugar tax non è tanto demonizzare l’industria dei soft drink ma spingerla a usare meno zuccheri. Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio nazionale sulla salute, in Italia più di un terzo della popolazione adulta (il 35,3 per cento) è in sovrappeso e una persona su dieci è obesa (9,8 per cento). Ma i numeri più preoccupanti riguardano i bambini: tre su dieci hanno problemi di chili di troppo o di obesità, con prevalenze più alte al Sud e al Centro.
“L’eccesso di peso porta al non corretto funzionamento dell’insulina, l’ormone che regola la quantità di glucosio nel sangue evitando così il verificarsi del fenomeno della glicemia alta, e quindi la comparsa del diabete”, spiega Francesco Purrello, presidente della Società italiana di diabetologia. Nel nostro Paese tra la popolazione adulta la prevalenza di diabete è pari al 6,3 per cento e tra gli adulti obesi arriva al 15 per cento (rapporto Osservasalute 2017). “Il diabete è una malattia costosa – continua Purrello – perché un paziente costa 3mila euro all’anno al sistema sanitario, e una malattia mortale perché espone molto di più al rischio di ictus e infarti”. Walter Ricciardi, presidente dell’Iss, sostiene che “la sugar tax è una buona misura ma non risolverà il dramma dell’obesità se allo stesso tempo non si investirà sulla promozione di stili di vita sani nelle scuole, sui posti di lavoro e nelle strutture sanitarie”. Altrimenti, conclude Ricciardi, “le classi più disagiate per convenienza di prezzo al supermercato continueranno a scegliere il junk food”.