Cronaca Nera

Caso Orlandi, il fratello Pietro: “Trattativa col Vaticano per la verità su Emanuela. Poi il silenzio”

Al Messaggero parla dell'incontro del 2012 che gli aveva raccontato l'allora procuratore di Roma. L'alto prelato offriva carte e documenti sulla Orlandi in cambio di "un'inchiesta morbida" sull'apertura della tomba di De Pedis, sepolto nella basilica di Sant'Apollinare

“Il 2012 fu segnato da un fatto rilevante. In quel periodo si parlava dell’apertura della tomba di De Pedis a Sant’Apollinare e l’allora Procuratore della Repubblica, Capaldo, dopo essere stato contattato dal Vaticano, si recò ad incontrare un autorevole prelato per una sorta di trattativa sul caso Orlandi“. Il fratello di Emanuela, Pietro, parla al Messaggero a pochi giorni dal ritrovamento di alcune ossa nella Nunziatura di Via Po 27 a Roma. Resti per i quali lunedì 5 novembre sono attesi i primi risultati per sul Dna per capire se appartengano a Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, entrambe scomparse nel 1983.

Nei giorni in cui la procura acquisisce i documenti delle ristrutturazioni e la Squadra mobile interroga gli ex dipendenti della Nunziatura (inclusa l’ex custode, Anna Mascia), Pietro Orlandi ricorda che sei anni fa “un alto prelato chiese un’inchiesta morbida” al procuratore di allora Capaldo sul caso della rimozione della salma di De Pedis. In cambio avrebbe fornito “notizie e carte ai magistrati su mia sorella”. Il procuratore allora chiese carte “che aiutassero a dare risposte. ma successe una cosa inquietante. Nessuno si fece più sentire”. Dice di non sapere di quale prelato si trattasse, ma che fu lo stesso Capaldo a parlargliene, ed era “qualcuno al vertice”. Ma non si sa chi. Il procuratore disse allora pubblicamente che “in Vaticano vi fossero persone a conoscenza di cose”, ma poco dopo l’inchiesta gli fu tolta e lui andò in pensione.

Pietro Orlandi si dice poi convinto che ci siano carte conservate in qualche archivio perché “Paoletto”, il maggiordomo di Benedetto XVI finito in carcere perché trafugava documenti gli aveva detto di “avere visto su una scrivania un dossier spillato con su scritto: Rapporto Emanuela Orlandi. Difficile che fosse solo una raccolta di articoli di giornale come hanno cercato di spiegare successivamente”. Secondo Orlandi, “il nome di Emanuela è ancora un tabù” e “la cappa di silenzio va avanti da 35 anni. Pensi che la mia famiglia non è mai stata ricevuta né da Benedetto XVI, né da Papa Francesco. Solo mia mamma ha potuto avere un incontro veloce con Francesco, ma da sola, senza nessun altro”.

I resti ritrovati nella sede della Nunziatura erano nascosti sotto il massetto del pavimento della dependance destinata ai custodi che, secondo quanto risulta all’Apsa – l’amministrazione del patrimonio della Santa Sede – è stato rifatto negli anni Ottanta. Nei giorni scorsi alcuni operai, mentre facevano lavori di restauro, hanno rinvenuto uno scheletro – che secondo quanto emerso finora è di donna – e altri frammenti ossei. Anche questi, pare, di donna. E già per lunedì sono attesi i primi risultati sulla comparazione del Dna. Nella zona della Nunziatura hanno vissuto alcuni protagonisti dei casi Orlandi e Gregori: a dieci minuti da lì, scrive il Messaggero, viveva la famiglia di quest’ultima, e al civico 25 abitava Giuseppe Scimone, vicino alla Magliana. Intanto sono tante le piste che circolano, inclusa quella su un ex custode che aveva prestato servizio alla Nunziatura nel ’65: la moglie, infatti, sparì dopo un litigio. Di lei non si seppe più nulla.