La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti è arrivata forse alle sue fasi finali. E potrebbe risolversi con un accordo che faccia contente entrambe le parti. Win-win: tutti vincono, nessuno perde. Proprio come piace a Pechino. Il presidente Usa Donald Trump ha infatti incaricato i suoi uomini di stilare una bozza di accordo commerciale con la Cina. Tutto fa pensare ad un prossimo incontro faccia a faccia tra i due leader a latere del G20 previsto tra fine novembre e inizio dicembre a Buenos Aires, durante il quale Trump presenterà il documento al presidente cinese Xi Jinping, mettendo nero su bianco le condizioni di Washington per raggiungere la tregua.
Poche ore prima dell’annuncio della Casa Bianca, era stata diffusa la notizia di una telefonata tra Trump e Xi, durante la quale, oltre al commercio, sono state discusse altre questioni che riguardano i rapporti bilaterali tra le due grandi potenze, una su tutte la situazione nella penisola coreana. I media cinesi riferiscono di una discussione “costruttiva” tra i due leader, spinta, a quanto pare, dal capo della Casa bianca che vorrebbe “una comunicazione frequente e diretta” con il suo omologo, evitando, di fatto, lungaggini burocratiche e protocolli diplomatici invisi a “The Donald”. Più diretto Trump che al termine di un comizio nello stato del Missouri – il prossimo 6 novembre si apriranno le urne per le elezioni di medio termine – ha twittato soddisfatto: “La Cina vuole un accordo. Lui (Xi Jinping, ndr) lo vuole. Tutti lo vogliono”.
Quella di ieri è un’apertura attesa da maggio scorso, momento in cui la tregua sembrava molto vicina data un’offerta cinese di ridurre il deficit commerciale (di circa 375 miliardi di dollari per il 2017) aumentando le quote di prodotti agricoli e energetici dagli Stati Uniti. L’arenarsi delle trattative aveva allora irritato molto gli “organi rilevanti” della Repubblica popolare: la proposta era stata portata dal vicepremier Liu He su mandato personale di Xi.
Per di più, la telefonata tra Trump e Xi giunge a una settimana dal riavvicinamento tra Cina e Giappone, principale alleato degli Usa in Asia, sancito da una tre giorni del primo ministro nipponico Shinzo Abe a Pechino. Le borse asiatiche hanno risposto positivamente a questi ultimi segnali di distensione tra Washington e Pechino. Il Nikkei, l’indice della borsa di Tokyo, ha fatto registrare un +2,5 per cento, mentre lo Shanghai Composite ha chiuso con un netto +3,3 per cento.
Nonostante questi segnali positivi, le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti però non si placano. Il Dipartimento della Giustizia dell’amministrazione americana ha infatti aperto un’indagine su un numero di aziende e di individui accusati di aver rubato segreti industriali. Tra i nomi di aziende cinesi e taiwanesi, spicca quello della Fujian Jinhua Integrated Circuit che avrebbe copiato una tecnologia di memoria dati dalla Micron, un’azienda statunitense con base nello stato dello Idaho. A giugno di quest’anno, il segretario di Stato Mike Pompeo aveva attaccato apertamente le “ruberie” a livello di brevetti e proprietà intellettuali americani.
Quest’anno gli Stati Uniti hanno imposto tariffe commerciali su merci importate dalla Cina per un valore di 250 miliardi di dollari, circa la metà del volume totale di scambi registrato nel 2017. Oltre agli sgarbi commerciali, rimangono irrisolte le questioni territoriali, legate al controllo della Cina sul Mar cinese meridionale (dove negli ultimi anni Pechino ha rafforzato la propria sorveglianza militare) e di Taiwan. Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle” destinata al ricongiungimento con la madrepatria e ha più volte attaccato Washington per la vendita di armi a Taipei. È qui, soprattutto, che potrebbe decidersi il delicato futuro delle relazioni tra Cina e Stati Uniti.
di China Files