La capacità di tollerare il pensiero altro da sé è una delle più alte forme di intelligenza, il resto è solo rabbia e livore a buon mercato. La politica e i social network ne sono un buon esempio, anche se – mentre i social network sono giustificati dall’accogliere chiunque al loro interno – ci si aspetterebbe dalla politica una selezione migliore, ma non sempre così è. La costante divisione in schieramenti permette alle convinzioni di degenerare e le persone non ragionano con le idee e i fatti, ma con l’autoreferenzialità e l’ideologia. Quanti articoli, ad esempio, vengono commentati in base al titolo senza che ci sia dietro una lettura attenta dei contenuti? Tanti, troppi!

Quando la politica si fa anche sui social network, assistiamo spesso al peggio del narcisismo e dell’intolleranza umana. Tollerare significa che accetto che l’altro possa avere un’idea diversa dalla mia, senza che questo implichi che la debba accettare, ne accetto solo la diversità, evitando di ergermi a detentore di verità assolute. Tollerare è una scelta, accettare, il più delle volte, significa più semplicemente trovarsi d’accordo. Il confronto cede il posto all’affronto. La nostra è un’epoca nella quale – nonostante il bombardamento di stimoli e le molteplici possibilità di conoscenza accessibile – quando due o più persone si confrontano invece di arricchirsi vicendevolmente, guardare la stessa cosa sotto punti di vista diversi, preferiscono accusare, offendere, non ascoltare.

L’incontro con l’altro sembra avvenire solo per assonanza, quasi mai per dissonanza, con tanti saluti alla tolleranza appunto. Accetto dell’altro solo quello che egli riflette di me. Questo limita la crescita intellettuale, ma anche emotiva (le emozioni vengono immediatamente scaraventate sull’altro senza che vi sia prima una loro elaborazione/gestione e l’altro è facile risponda allo stesso modo). Quanto si vede di diverso, invece di attirare, spaventa. Da qualche parte abbiamo imparato che dobbiamo avere ragione e per ottenerla siamo disposti a smettere di usarla.

Una società che non si sa incontrare è una società fatta di individui soli. La collettività è una forma senza sostanza ed ecco perché invece di godere di un bel tramonto sono lì a fotografarlo, postarlo e aspettare like e commenti. I vuoti relazionali vengono colmati dal virtuale, così la solitudine la sento, ma non la vivo veramente. L’inganno è sublime. Prendiamo l’estetica, quanto questa sia sopravvalutata. Il complimento più facile e più gettonato è sempre “sei bello/a”, anche quando belli non si è. Nessuno dice con la stessa semplicità “quanto sei intelligente”, anche quando intelligenti non si è. Elargendo bellezza a destra e manca il risultato è un paradosso a quanto affermato dianzi, ossia sottovalutarla.

Privati del contenuto ci aggrappiamo alla forma, erigiamo una fortezza inespugnabile, ma di essa ci rimane la chiave del portone di ingresso e quindi sta solo a noi accorgerci della ricchezza dell’altro, quando è diverso da noi. Nella diversità dell’altro, oltre ad incontrarlo, incontriamo la nostra stessa immensità.

Vignetta di Pietro Vanessi
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