Joaquin Guzman Loera è imputato per 17 capi d'accusa, tra cui traffico di droga, cospirazione, omicidio e riciclaggio di denaro. Nella richiesta di estradizione il Dipartimento di Stato si è impegnato con il governo messicano a non applicargli la pena di morte. Il procedimento si annuncia monstre: il governo americano presenterà qualcosa come 13.000 documenti. I difensori protestano: "Impossibile esaminare tutte le prove"
Dopo due rinvii, lunedì 5 novembre si aprirà a New York il processo contro Joaquin Guzman Loera, meglio noto come El Chapo, il signore della droga ex-capo del cartello messicano di Sinaloa. Un giudizio che partirà tra imponenti misure di sicurezza, soprattutto per proteggere l’identità dei testimoni e dei 12 giurati, di cui si cercherà di garantire l’anonimato. Detenuto a Brooklyn, non è ancora chiaro se il boss durante il processo rimarrà lì per evitare il trasferimento o sarà a Manhattan, dove ha sede la Corte. Tutto si svolge nella massima riservatezza. Anche i documenti presentati dal governo americano sono sotto segreto istruttorio. Inizialmente il giudice Brian Cogan aveva previsto di svolgere il processo a porte chiuse, con solo due rappresentanti in sala per parte, ma dopo una richiesta da parte dei media Usa, si è mostrato aperto all’idea di permettere la presenza di alcuni giornalisti, che possano seguire il dibattimento attraverso un circuito video da una sala attigua.
El Chapo è imputato per 17 capi d’accusa, tra cui traffico di cocaina, eroina, metanfetamine, marijuana, cospirazione, uso illegale di armi, omicidio e riciclaggio di denaro, per cui la procura americana chiederà l’ergastolo. Il Dipartimento di Stato si è infatti impegnato con il governo messicano, nella sua richiesta di estradizione, a non applicargli la pena di morte. Il processo si annuncia monstre per la mole di fascicoli: il governo americano presenterà qualcosa come 13.000 documenti (inizialmente dovevano essere 25.000). “Quale che sia il numero, sono troppi per preparare il giudizio in tre settimane – ha detto all’ultima udienza preparatoria di ottobre Jeffrey Lichtman, l’avvocato americano da poco aggiuntosi alla difesa del Chapo, già conosciuto per aver rappresentato il mafioso John A. Gotti – E’ impossibile esaminare tutte le prove che ha a disposizione la procura. In 28 anni di professione non mai visto niente del genere”.
Ma Cogan, dopo aver concesso due rinvii, questa volta non ha acconsentito a un nuovo stop: “Non si potrà mai essere preparati come si vuole per quando inizia il giudizio. Tutto di solito si risolve nell’ultima settimana”. Ha comunque invitato l’accusa a dare alla difesa tutto l’aiuto di cui ha bisogno, “perché un giudizio efficace è la cosa migliore per tutti”. Nonostante l’imponenza del processo, tutto dovrebbe concludersi nel giro di 4 mesi. Nel frattempo il Chapo continuerà a stare in un regime carcerario di isolamento molto duro, che, secondo i suoi avvocati e la moglie Emma Coronel, lo starebbe fiaccando fisicamente e psicologicamente. Avrebbe allucinazioni uditive, mal di testa e mal di gola continuamente. Abituato ad una vita super lussuosa, ora vive in una piccola cella senza finestre e i pasti gli vengono passati attraverso una porticina, con solo a un’ora di esercizio al giorno in un’altra cella.
Uno stile di vita insopportabile per uno che in un quarto di secolo è riuscito a scalare tutte le vette del comando, passando dall’essere un efficiente operatore nel muovere la droga dalla Colombia agli Usa al leader di “un’impresa di continua attività delittuosa”, e diventare “Il più grande narcoboss del mondo”, come si è definito lui stesso nell’intervista rilasciata negli ultimi mesi della sua latitanza al premio Oscar Sean Penn. Un’intervista che gli è costata cara, perché è stato seguendo i movimenti e le comunicazioni dell’attore e regista, e dell’attrice messicana Kate del Castillo, che la Marina Militare è riuscito ad arrestarlo l’8 gennaio del 2016, per poi estradarlo negli Usa un anno dopo.
Considerato da alcuni come un moderno Robin Hood, durante tutta la sua ascesa criminale El Chapo ha potuto contare sull’appoggio e la copertura delle autorità messicane, che ha corrotto a suon di milioni di dollari, in particolare dal 2001, anno della sua prima evasione dal carcere, avvenuta nascondendosi in un carrello della lavanderia. La seconda fuga dal carcere di massima sicurezza di Almoloya è stata nel 2015, grazie ad un tunnel sotterraneo che arrivava direttamente alla sua cella. Nel memorandum del Dipartimento di Giustizia alla Corte, si evidenzia come El Chapo “sia riuscito a controllare funzionari del governo corrotti a tutti i livelli del Messico e di altri Paesi”. Adesso però pare che la musica sia cambiata.