Cosa accadrebbe se l’Arno uscisse nuovamente dagli argini di Firenze? Quante volte, fiorentini e non, si sono chiesti che cosa potrebbe succedere se si ripetesse il dramma dell’alluvione che colpì la città il 4 novembre 1966, esattamente 52 anni fa. La domanda è più che lecita, poiché negli ultimi 900 anni sono state registrate a Firenze ben 56 alluvioni, almeno otto delle quali, dal 1333 al 1966, disastrose. “Se dovesse succedere un evento simile a quello di oltre mezzo secolo anni fa – afferma Marcello Brogioni, dirigente dell’Unità di bacino dell’Arno Appenino Superiore – Firenze si allagherebbe di nuovo, anche se in maniera molto minore. Gli interventi fatti subito dopo il 1966 e, in parte, anche in seguito, limiterebbero i danni al centro storico, mentre sarebbero più colpite le aree a valle della città”.

Le motivazioni, spiega Brogioni, sono dovute al fatto che è stato aumentato il deflusso delle acque nel tratto urbano: “Grazie ai lavori di tutela del territorio dai rischi idrici, secondo modelli matematici di recente realizzazione, invece dei 70 milioni di metri cubi di acqua che fuoriuscirono nel 1966 fa dal letto del fiume, abbiamo calcolato che ne esonderebbero circa 25, praticamente due terzi di meno. Laddove si toccarono 6 metri di acqua, si arriverebbe a due e via così. Anche se una ragionamento così lineare non può esser valido al cento per cento, a causa delle diverse condizioni che potrebbero presentarsi”.

Anche dal punto di vista della tutela dei beni culturali – considerati i danni patiti allora dal patrimonio culturale fiorentino – è legittimo chiedersi che cosa accadrebbe se l’Arno invadesse di nuovo musei, chiese, archivi e biblioteche. Lo scenario non è ovviamente quello di 52 anni fa, ma l’ottimismo va basato su fatti concreti. Infatti se da un lato le attuali tecnologie permettono di prevedere con maggior anticipo eventi atmosferici eccezionali, dall’altro la superficie di terreno che potrebbe assorbire un’eventuale nuova alluvione si è drasticamente ridotta nei decenni, così come l’attuazione dei piani di messa in sicurezza dei beni culturali eventualmente in pericolo comporta comunque la valutazione di numerose variabili. “Diciamo che tuttavia – prosegue Brogioni – una parte della città sarebbe seriamente interessata dall’alluvione e dei danni per i cittadini e i beni culturali sono comunque prevedibili”.

Per cui il confronto con ciò che accadde più di mezzo secolo fa si impone nuovamente: nel 1966 furono interessanti dallo straripamento dell’Arno 15 musei e una ventina di chiese. Sempre che il modello sia valido e che certe previsioni non si rivelino un po’ troppo semplicistiche, è lecito ritenere che i musei e le chiese del centro sarebbero nuovamente interessate dal fenomeno, così come quei luoghi di cultura e di culto che mezzo secolo fa erano ben diversi nelle forme e nelle dimensioni (per esempio il museo Bardini e quello dell’Opera del Duomo) o addirittura non esistevano, come il museo del Novecento di piazza Santa Maria Novella, il museo Ferragamo di Palazzo Spini Feroni, il museo Gucci, e perfino l’ampia sala di circa 800 metri quadrati destinata ad accogliere le mostre temporanee degli Uffizi, al piano terra di piazza del Grano, sotto il salone della Biblioteca degli Uffizi e che in questi giorni ospita una mostra dedicata a Leonardo da Vinci con il Codice Leicester in bella vista, “sfogliato” e inserito in 18 teche avveniristiche che, comunque in caso di imminente disastro, andrebbero rimosse e poste in sicurezza. Un’esondazione dell’Arno in zona Ponte Vecchio la colpirebbe inevitabilmente, e con essa tutto ciò che in quel momento si trovasse ospitato, se i piani di evacuazione delle opere previsti per l’occasione si rivelassero non perfetti.

Per questo da anni l’Autorità di bacino dell’Arno opera per sensibilizzare i responsabili dei luoghi della cultura verso le buone pratiche di prevenzione dai rischi di alluvioni: “Da tempo stiamo facendo opera di sensibilizzazione – aggiunge il dirigente – per far capire che Firenze sarà più o meno sempre colpita dalle alluvioni. È la storia che lo dice e dobbiamo esser pronti ad affrontarle. In parte lo si fa con le opere che ci possono difendere, e in parte con le azioni locali, di protezione civile, per sapere che cosa si deve fare quando accadono eventi del genere, specialmente se a essere in pericolo sono opere molto importanti del nostro patrimonio culturale”. Ad esempio, spiega Brogioni, se il direttore di un museo sa che l’acqua può arrivare a due metri d’altezza dal piano terra, e il museo è al piano terra, “in qualche modo deve aver pronte delle procedure per evitare che siano impattate dall’alluvione”. Questo, dice, “è ciò che negli ultimi anni abbiamo fatto insieme alla Prefettura di Firenze e agli stessi responsabili dei musei. C’è chi ha recepito il messaggio. Non è facile affrontare qualcosa che avviene di rado, per cui viene da esclamare ‘tanto non accade’. Invece accade eccome”.

Ma quali sono i luoghi della cultura maggiormente a rischio nel centro di Firenze? “Tutti i siti di cultura del centro di Firenze, collocati al piano terra, un pensiero all’eventualità di dover affrontare una nuova alluvione lo devono avere. Non faccio l’elenco, ma tutte quelle istituzioni che sono intorno alla Biblioteca Nazionale, a Palazzo Vecchio, sulla riva sinistra dell’Arno e nei pressi di Ponte Vecchio non possono non aspettarsi di dover affrontare un’alluvione, anche importante. Meno male che questa nostra opera di educazione alla prevenzione comincia ad essere ascoltata e infatti c’è chi ha già preso provvedimenti. E poi dipende dalla disponibilità di fondi, dalla capacità di poter guardare un po’ più in prospettiva, oltre i 5 e 10 anni”.

Però intanto dall’alluvione del 1966 sono trascorse due generazioni e alcuni rischi rimangono, come quelli che corrono le quattro sculture di Michelangelo collocate nella sala dedicata al genio al piano terra del Museo Nazionale del Bargello, o libri più preziosi del Conservatorio Cherubini custoditi in una cassaforte sempre al piano terra, e infine di due delle tre porte originali del Battistero, che sono sì conservate nel nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, ma pur sempre al piano terra. Per non parlare delle tante opere d’arte tornate, faticosamente, nelle chiese della città, dopo che l’Arno le aveva sfregiate, oltraggiate 52 anni fa. A quelle, chi ci pensa?

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