Venerdì 2 novembre. La Circumvesuviana di Napoli, ferrovia locale che collega il centro con i comuni dell’area vesuviana, è come sempre piena. È una giornata come tante. C’è chi torna da scuola, chi dal lavoro, chi il lavoro non ce l’ha e magari è andato a cercarlo. Donne, uomini, giovani e anziani. Napoletani ma anche tanti stranieri. Srilankesi, ivoriani, senegalesi, ucraini, pakistani. Napoli è città multietnica per eccellenza dove interi quartieri sono popolati da persone provenienti da altri Paesi.

Il viaggio sulla Circumvesuviana è breve. Le stazioni sono ravvicinate. Si sale, ci si siede per pochi minuti. Qualcuno legge un libro (sempre meno) la gran parte se c’è campo (ma anche se non c’è) “smanetta” sul proprio smartphone. Si aprono le porte ed entrano nuovi passeggeri. Uno di loro polemizza perché, dice, è stato spinto. Il bersaglio è un pakistano con la felpa bianca. Che rimane impassibile. Dalla polemica all’insulto è una questione di secondi. “Negro di merda” lo apostrofa con l’immancabile gergo razzista. “Ve ne dovete andare”.

Non è un episodio isolato. Le giornate (non solo a Napoli) per strada, nei bar, sui treni o sulle metropolitane sono purtroppo scandite dalle aggressioni. Verbali (quando va bene) nei confronti di immigrati. E nella gran parte dei casi ci si gira dall’altra parte, si tira dritto, o si abbassano gli occhi sul cellulare per non incrociare lo sguardo dell’aggressore, o del malcapitato vittima degli insulti. Meglio lasciar perdere. Se ne sentono tante. Magari mi becco un insulto anche io. O peggio ancora un cazzotto in un occhio.

Ma nella circumvesuviana di Napoli una donna sceglie di non stare in silenzio. È la sola a farlo. Gli altri restano immobili, impassibili. Non sono spaventati ma sostanzialmente indifferenti a quello che accade. Maria Rosaria difende il giovane pakistano e rivolge senza alcun timore poche parole al violento disturbatore: sei un razzista. Anzi: “Non sei razzista, sei stronzo”. E quando lui prosegue la classica litania in difesa della razza e dei confini (“l’Italia è nostra”) lei ribatte egregiamente:  “Preferisco che l’Italia sia la sua non la tua”. Quando Maria Rosaria si alza per scendere, un ragazzo, anch’egli straniero, la scorta verso l’uscita temendo che possa essere aggredita. Lei scende e lui torna a sedersi.

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