Un team di ricercatori dell’Università di Padova, finanziato da Airc, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, ha scoperto una nuova proteina, la Brd4, che, colpita con farmaci sperimentali, potrebbe fermare la proliferazione di molti tipi di tumore, anche resistenti ai farmaci. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Medicine, è stato per due settimane al primo posto tra i più letti, e porta la firma di una giovane ricercatrice italiana, Francesca Zanconato. “La premessa dalla quale siamo partiti è che una cellula tumorale è come un culturista, “dopata, sotto steroidi”: per supportare le sue divisioni di cellule impazzite, esprime più geni rispetto a una cellula sana, cresce di più”, spiega al Fattoquotidiano.it Stefano Piccolo, docente del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova e capo del team di ricerca, al lavoro da tre anni.

Ecco come mettere ko la proteina Brd4
In particolare, è noto da anni agli studiosi che la proteina Yap è indispensabile per trasformare le cellule sane in cellule tumorali e a farle crescere in modo incontrollato. “Colpire Yap però ad oggi è impossibile”, spiega Piccolo. Come spesso accade nella ricerca scientifica, la soluzione è arrivata per caso. “Abbiamo scoperto per caso che Yap si lega sempre a un’altra proteina, Brd4: si abbracciano e vanno insieme nelle stesse regioni cromosomiche”, continua Piccolo. Per “dopare” il cancro, Yap non può fare a meno di Brd4. E i ricercatori hanno capito come mettere ko Brd4, grazie a una molecola che ne inibisce il funzionamento. “In questo modo, il tumore perde il suo “doping”, diventa vulnerabile e, nei nostri modelli sperimentali, torna ad essere sensibile alla precedente chemioterapia”, spiega il professore, che è anche direttore del programma Biologia dei tessuti e tumorigenesi all’IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) di Milano. La scoperta dell’Università di Padova va oltre la terapia a bersaglio molecolare diretta contro specifiche mutazioni genetiche, come Brca, Her2, Ros e Alk. “Qui non si va a colpire un singolo gene mutato, ma centinaia e centinaia di geni che conferiscono super poteri al cancro: si abbassano le attività di tutti, si colpiscono le loro difese in modo generale”, dice Piccolo.

“I giovani ricercatori sono il futuro del nostro Paese”
Lo studio, condotto su cellule in coltura, mammarie e di melanoma, non ha indagato ancora né efficacia né la tossicità sugli esseri umani. È ancora presto quindi per l’uso del farmaco sui pazienti, ma le premesse sono incoraggianti, al punto che la molecola sarebbe già al vaglio di diverse case farmaceutiche. Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Airc: “I giovani ricercatori sono il futuro del nostro Paese”. Al telefono, Federico Caligaris Cappio, direttore scientifico di Airc dal 2016, si dice soddisfatto. “Capire i meccanismi apre tutte le strade. Questo risultato è la conferma nei fatti che Airc finanzia della buona ricerca e che questa ottiene dei risultati interessanti e potenzialmente utili e importanti per una eventuale futura ricaduta”. Usa molta cautela, però, Caligaris. “Essere esageratamente entusiasti può indurre, nei pazienti che leggono, delle false speranze. La ricerca va avanti, ma la trasformazione in impiego clinico richiede tempo”, ricorda il direttore. Tempo e, soprattutto, soldi. Per questo Caligaris chiama a raccolta gli italiani: il 10 novembre, i volontari di Airc saranno in 1000 piazze con i cioccolatini della ricerca, per finanziare i progetti di studio contro il cancro.

“Tra questi, quelli diretti alla diagnostica molecolare, rappresentata per esempio dalla biopsia liquida, o il nostro programma di cinque per mille per lo studio delle metastasi: dal 2018, Airc stanzia oltre 14 milioni di euro all’anno, per 7 anni, per capire perché le metastasi vanno in giro o perché non rispondono più alle terapie convenzionali. O i programmi, ne abbiamo due, a sostegno esclusivo dei giovani ricercatori. È innegabile che siano loro il futuro del paese. Non avere attenzione verso di loro sarebbe un errore madornale” conclude il direttore scientifico di Airc.

Lo studio su Nature

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