La produzione industriale si è arenata, dopo tre anni di flebile crescita. L’economia è ferma, la Borsa trema e lo spread (la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi) è sempre più elevato, facendo lievitare il nostro già gigantesco debito pubblico. Aumentano di nuovo i disoccupati. Calano l’export e i consumi. L’Unione europea sottolinea che la manovra economica del Governo non può reggere. Persino gli alleati europei dei nostri nazionalpopulisti dicono che non accetteranno che il loro Paesi sborsino un centesimo per compensare le bizzarre idee economiche giallo-verdi. Siamo come minimo in stagnazione, condizione in cui produzione e reddito nazionale restano immobili; se andrà avanti così tra pochi mesi saremo di nuovo in recessione, quando l’attività economica si riduce, il livello del reddito reale scende e cala l’occupazione. Oltretutto i grillini stanno bloccando molti lavori pubblici per grandi opere già avviati (a parte il Gasdotto Trans-Adriatico, la Tap, che ha “regalato” ai leghisti). Tutti questi costi e questi passi indietro vanificheranno anche i benefici temporanei che potrebbe garantire il cosiddetto “reddito di cittadinanza“, quello che, pare, sarà concesso a pioggia dal governo, senza alcuna ipotesi di sviluppo (“regalo” dei leghisti ai grillini). È il prezzo di una crisi creata a tavolino.
Di fronte a uno scenario ansiogeno come questo, prima il premier invisibile Giuseppe Conte ci ha fatto sapere, durante una visita ufficiale in India: “L’avevamo previsto, proprio per questo faremo una manovra espansiva”. Il mago Otelma della non-politica, insomma. Poi il bisministro dello Sviluppo economico (quale?) e del Lavoro (dove?), Luigi Di Maio, lo ha smentito, sostenendo invece, come al solito, che è colpa dei governi precedenti (da Romolo e Remo in poi. Ovviamente con l’aggiunta di “EilPiddì?”), per poi garantire, dall’alto dei suoi studi: “Vedrete. Con la manovra del popolo non solo il pil, ma anche la felicità dei cittadini si riprenderà”. Cosicché, in una successiva intervista al Corriere della Sera, il premier si è adeguato alla linea dettata dal suo vice (strano vice, che detta la linea… come l’altro finto vice, Matteo Salvini) e ha ribadito il concetto. In sintesi è questo: qualora qualcosa dovesse andar bene, sarà merito nostro; se invece qualcosa andrà storto, sarà colpa di quelli che ci hanno preceduti nei secoli dei secoli.
Si tratta di una situazione così in bilico, che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – a proposito delle legge di bilancio appena recapitata – si è dovuto esprimere in un modo insolito; un modo che, se filtrato dai toni protocollari, non può che apparire come un monito e un segnale di pericolo: “Desidero rivolgermi al Governo, nel comune intento di tutelare gli interessi fondamentali dell’Italia, con l’obiettivo di una legge di bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli operatori economici e ponga l’Italia al riparo dall’instabilità finanziaria”, ha scritto Mattarella in una lettera al premier Conte.
Ovviamente, il renzismo e il berlusconismo hanno contribuito a creare le premesse che stanno portando a questo preoccupante declino economico, politico e morale e all’affermazione di forze come quelle che sono giunte a Palazzo Chigi. Ed è inaccettabile non aver mai sentito la minima autocritica degna di questo nome da parte di Matteo Renzi (quella di Silvio Berlusconi non ce l’aspettiamo per ovvie ragioni).
Tuttavia ora abbiamo a che fare con una coalizione tenuta in piedi soprattutto dal potere (elemento che ha “unito” tanti partiti dal Dopoguerra in poi) e dall’unica cosa che i nostri attuali governanti sanno realizzare bene: l’inoculazione quotidiana di odio, e conseguente paura, nei confronti di qualcuno; “sentimenti” per ora sfogati soprattutto contro i migranti. Poi si vedrà a chi toccherà trasformarsi nel capro espiatorio della rabbia al potere e del nazionalpopulismo dell’ultradestra leghista, sostenuti, a volte attivamente e altre passivamente, dal grillismo.
Chi ha almeno 60 anni di vita alle spalle – come capita a me (mi scuso per la citazione personale, ma serve per capire) – è tentato di paragonare la pessima sensazione suscitata da questo clima (e dalle sue conseguenze nella vita quotidiana) con quella provata negli anni plumbei dello stragismo, del terrorismo, dell’inflazione sopra il 20%. La necessità di contrastare questa deriva è quindi percepita come dovere oltre che come diritto, sebbene siano chance che infastidiscono alcuni ultrà di certi leader. Capitò anche negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta. Con la differenza che all’epoca ero un adolescente e poi un ventenne; oggi sono il padre (tardivo ma felicissimo di esserlo) di un bimbo piccolo, che si merita di ereditare qualcosa di meglio di questa Italia incattivita.
Certo, la situazione politica è lo specchio della società. Per cui quel “nulla che avanza” (senza offesa per il romanzo La storia infinita di Michael Ende) siamo, purtroppo, anche noi: da anni ragioniamo (e votiamo) con la pancia più che con la mente. Tuttavia questa non è una buona ragione per assistere inermi.