Da cinque giorni è in pieno vigore il Dl dignità voluto dal vicepremier M5s. Una lama a doppio taglio per gli interinali, secondo la il sindacato, che nel Salento denuncia mancati rinnovi contrattuali per decine e decine di lavoratori, prendendo ad esempio il caso Comdata. Almeno in questo caso, però, la realtà sembra diversa
Per la Cgil di Lecce sono indubbiamente i “primi effetti del decreto Di Maio sui lavoratori salentini” quelle centinaia di contratti tra interinali e agenzie di somministrazione non rinnovati alla scadenza del 31 ottobre. Il legame con il decreto dignità, che ha esaurito la sua disciplina transitoria in quella stessa data, però, fatica a trovarsi, almeno a così pochi giorni dall’attuazione. Lo dicono i numeri della principale società tirata in ballo, il call center Comdata, che con i suoi duemila addetti è la più grande di Lecce: è vero che non ha rinnovato circa 140 somministrati (non 200, cifra riferita dal sindacato), ma allo stesso tempo ha disposto la proroga per altri 400 interinali, molti dei quali lì da più di dodici mesi, e da lunedì, come già comunicato alle organizzazioni di categoria, avvierà la stabilizzazione a blocchi, da completarsi nei prossimi due mesi, di 120 persone. Neanche l’assunzione di queste ultime è legata, ad ogni modo, al decreto dignità: stando a quanto si apprende da qualificate fonti aziendali, infatti, buona parte di coloro che otterranno un contratto a tempo indeterminato non rientra nelle categorie per cui sono previsti sgravi fiscali, perché, ad esempio, hanno superato i 35 anni oppure hanno avuto in passato già dei contratti non a termine. Mere valutazioni aziendali, insomma, e un fisiologico turn over che spesso si registra nel call center dopo l’estate, quando si contrae il volume di alcune commesse, come quelle relative a Sky per la vendita dei pacchetti abbonamento per il campionato di calcio.
Per la Cgil, tuttavia, non c’è altra spiegazione: “Sicuramente l’avvicendamento della platea dei lavoratori ci sarebbe stato a prescindere, ma non con quei numeri così massicci, visto che mensilmente sono circa venti e non duecento le persone stoppate”, dice Sabina Tondo, coordinatrice provinciale del Nidil Cgil Lecce. “Molto di quel personale non rinnovato – continua – era tra la 13esima e la 14esima mensilità, aveva una prospettiva di almeno altri dieci mesi di impiego, ma alla luce del decreto Di Maio la proroga avrebbe imposto al datore di lavoro l’indicazione della causale e avrebbe comportato costi più alti. Questo ci fa capire che sicuramente l’azienda ha agito in maniera preventiva”. Al di là del ‘caso Comdata’, tuttavia, Cgil Lecce pone l’accento sul rischio generalizzato. “In Poste Italiane, ad esempio, ne vedremo delle belle, visto che sono in scadenza i contratti a tempo di tantissimi portalettere o addetti allo smistamento”, chiosa Tommaso Moscara, segretario della categoria Slc. L’indice è puntato contro il rinnovo a maglie strette dopo la dodicesima mensilità. In questo caso, la proroga deve essere giustificata con una causale: il datore deve spiegare perché, in sostanza, non trasforma quel rapporto in tempo indeterminato e precisare che la prosecuzione a scadenza è per esigenze temporanee e oggettive. Le proroghe, poi, possono essere al massimo quattro nell’arco di 24 mesi (e non più cinque nell’arco di 36 mesi) e la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore è di 24 mesi, salvo previsioni diverse del contratto collettivo applicato dall’azienda.
Un provvedimento che per gli stessi sindacalisti Cgil è significativo “per limitare un turn over solitamente molto spinto”, ma è anche “zoppo, perché avrebbe dovuto prevedere un incentivo all’assunzione o una penale per chi ricorre continuamente al lavoro somministrato, altrimenti il rischio è di generare ancora più precariato“, avverte Moscara. È ancora troppo presto, insomma, per iniziare a tirare le somme, anche perché, come riferito dal presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro leccese, Antonio Lezzi, in questi giorni molti imprenditori si stanno informando per capire se la stabilizzazione conviene, anche per evitare di perdere il know how e le competenze acquisite. Alla luce anche di un altro limite da dover rispettare, quello del 30 per cento di interinali sulla platea complessiva dei dipendenti, per la Cgil è indispensabile correggere il tiro, “per esempio obbligando le aziende a mantenere il personale nello stabilimento, senza ricominciare da capo ogni volta. Una sorta di diritto di prelazione sulle assunzioni”.