“Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“. Perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”. Non sono le posizioni di giudici e pubblici ministeri. Non sono neanche gli appelli dei familiari delle vittime delle stragi: quella di Viareggio, il terremoto a L’Aquila, le parti civili del processo Eternit e quelle per l’inquinamento di porto Marghera. Non si tratta nemmeno delle ennesime dichiarazioni dei ministri del Movimento 5 stelle, impegnati da giorni in uno scontro con gli alleati della Lega. Nossignore. A chiedere una riforma sulla prescrizione è l’Europa. E non da oggi: lo ha fatto più volte.
Il rapporto di Bruxelles nel 2017 – L’ultima risale al febbraio del 2017. A Palazzo Chigi sedeva ancora Paolo Gentiloni e nel rapporto semestrale dedicato ai Paesi dell’Eurozona la Commissione europea aveva messo nero su bianco un severissimo giudizio sugli “squilibri” italiani. Un dossier specifico (si può leggere qui) era stato diffuso da Bruxelles insieme a quello sul debito pubblico e aveva conquistato le pagine dei giornali perché la commissione aveva riconosciuto al nostro Paese di avere avviato una serie di “riforme positive“. Un passaggio molto apprezzato dall’allora ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che però aveva completamente ignorato la parte del rapporto dedicata alla giustizia. Un tema che impensieriva Bruxelles. E infatti nel dossier si ricordava come già nel 2016, tra le raccomandazioni spedite a Roma, fosse stato inserito un consiglio specifico: “Potenziare la lotta contro la corruzione, anche riformando l’istituto della prescrizione”. Dodici mesi dopo la valutazione non lasciava scampo: “Non sono stati compiuti progressi nella riforma dell’istituto della prescrizione“.
“Ostacola lotta a corruzione” – Nel 2017, dunque, ecco il nuovo impietoso rapporto. “Il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“, era l’incipit del lungo paragrafo dedicato al sistema giudiziario italiano, che la commissione aveva passato in rassegna. “Le sfide dell’Italia legate alla corruzione ad alto livello, ai conflitti di interesse, ai collegamenti con la criminalità organizzata e la corruzione nel settore privato sono ancora confermate da diversi indicatori”, si legge a pagina 59 del rapporto. “L’Italia – continuava il dossier – è 26° nella Ue per il controllo delle corruzione, Transparency International ha dato all’Italia uno dei punteggi più bassi nell’Ue, e il paese si è classificato 120esimo su 138 per favoritismi nelle decisioni pubbliche e 87esimo sulla distrazione di fondi pubblici (Banca mondiale 2016b, Wef, 2016)”, continua la relazione sottolineando poi che “gli appalti pubblici sono un settore a rischio, con il 29% di tutte le procedure che hanno un solo offerente e con il 9% che ha avuto una gara d’appalto a tutto il 2015″.
“Incentiva tattiche dilatorie degli avvocati” – Quindi si passava in rassegna la questione legata appunto alla prescrizione, in quel momento oggetto di dibattito parlamentare perché una riforma dell’istituto era prevista dal ddl Penale, studiata dall’allora guardasigilli Andrea Orlando. “Il sistema attuale ostacola considerevolmente la repressione della corruzione, non da ultimo perché incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati”, scriveva la commissione che analizzato i dati del ministero della Giustizia. “Il rapporto tra il numero di procedimenti penali prescritti e il numero di procedimenti penali conclusi indica che le prescrizioni in primo grado sono aumentate dal 2013, salendo al 9,5% nel 2015. Per quanto riguarda le corti d’appello, nel periodo 2006-2015 questo rapporto è aumentato dal 12,3% al 22,6%. I tassi di prescrizione presso la Corte di Cassazione sono più bassi, ma risultano in aumento da qualche anno a questa parte. Nel complesso, un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado”.
La riforma Orlando promossa con riserva – Quindi si faceva riferimento alla riforma Orlando che sarebbe stata approvata dopo quattro mesi, nel giugno del 2017: tra le novità, attualmente in vigore, l’aumento del termine di prescrizione per i casi di corruzione pari alla pena edittale aumentata della metà (anziché un quarto come per i reati di minore gravità) e lo stop di 18 mesi dopo il giudizio di primo grado. Una legge che in quel momento la commissione promuoveva, seppur senza troppo entusiasmo. “Anche se la proposta non mette fine ai termini di prescrizione dopo una condanna di primo grado (come suggerito dal Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione), si ritiene che questo sia un passo nella giusta direzione. La proroga dei termini di prescrizione potrebbe aumentare gli incentivi a ricorrere a procedimenti abbreviati e ridurre gli abusi del processo, contribuendo quindi a rafforzare l’efficacia della giustizia penale. Se la questione non sarà affrontata in linea con le migliori pratiche dell’Ue, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”, ragionavano a Bruxelles.
Stop dopo condanna o sentenza di primo grado? – Il suggerimento citato tra parentesi si riferiva all’ultimo rapporto del Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa che nel gennaio del 2017 registrava in Italia “l’allarmante” numero dei processi penali non conclusi a causa della prescrizione. “Il problema dei tempi di prescrizione dei reati”, rappresentava anche per Strasburgo una “seria preoccupazione” per “l’impatto negativo sui casi di corruzione”. Il gruppo d’esperti, però, non ha mai consigliato espressamente che tipo di riforma varare. Nel riferimento della commissione Ue – in lingua inglese- si parla di “stop prescription terms after a firstinstance conviction”, che diventa appunto mettere fine “ai termini di prescrizione dopo una condanna di primo grado”. Una traduzione letterale mentre più realisticamente si trattava di un congelamento dopo una sentenza di primo grado: qualsiasi essa sia. Anche perché in caso di sospensione solo in caso di condanna, si rischierebbe una bocciatura da parte della Consulta: come già avvenuto con la legge Pecorella nel 2006, infatti, si potrebbe configurare una disparità di trattamento degli imputati.
La proposta Bonafede – È anche per il rischio incostituzionalità se il guardasigilli Alfonso Bonafede ha chiesto d’inserire un emendamento al ddl Anticorruzione per inserire lo stop dopo la prima sentenza. Una norma lunga tredici righe che ha scatenato il panico all’interno del governo, con la guerra a bassa intensità aperta dal Carroccio. Dichiarazioni dei ministri ed emendamenti da colpo di spugna dei parlamentari: tutto pur di bloccare, o ritardare, la riforma della prescrizione. Ce la chiedeva l’Europa: chissà forse anche per questo motivo alla Lega non piace.
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