Cultura

Vladimir Vladimirovič Nabokov, ripubblicate le sue “Lezioni di letteratura”: “Attenti al mostro del senso comune!”

L’attenzione al senso comune, l’ottusa dittatura della correctness, del buon senso, come ha notato anche Nanni Delbecchi sul nostro giornale a proposito dello stesso saggio, sono proprie dello scrittore di second’ordine. Benediciamo gli scrittori "diversi", dunque. Coloro che hanno il coraggio di sparare ad alzo zero contro il senso comune e quelli che se ne fregano se il loro romanzo venderà, come Sacha Naspini che ha scritto "Le case del malcontento"

di Francesco Aliberti

Editori e scrittori, attenti al mostro del senso comune! È la raccomandazione di uno dei giganti del Novecento, Vladimir Vladimirovič Nabokov, contenuta nelle “Lezioni di letteratura” ora ripubblicate da Adelphi. Il libro raccoglie sette lezioni su capolavori letterari del personale canone dello scrittore russo, da Jane Austen a Joyce, che l’autore di Lolita, docente in America a Wellesley e a Cornell, tenne tra il 1941 e 1958. L’ultima lezione è dedicata a “Arte della letteratura e senso comune”. È qui che il professor Nabokov avverte gli aspiranti scrittori che nella scrittura di un romanzo è necessario allontanare da subito il “mostro arcigno” del senso comune, del buon senso, sempre incombente. Il mostro del buon senso frignerà con lo scrittore che il libro che sta scrivendo è sbagliato, che non è per il grande pubblico, perché contrario al senso comune e che quindi mai e poi mai venderà. In quel momento, alla parola “venderà”, si deve mettere mano alla pistola, scrive Nabokov, e il “senso comune” deve essere fatto secco con un colpo solo.

L’attenzione al senso comune, l’ottusa dittatura della correctness, del buon senso, come ha notato anche Nanni Delbecchi sul nostro giornale a proposito dello stesso saggio, sono proprie dello scrittore di second’ordine. La vera letteratura è contraria al senso comune, è bizzarra, anticonvenzionale, non si conforma al pensiero dominante, ma si basa su principi irrazionali: soprattutto nella supremazia del particolare sul generale, nella capacità di incuriosirsi per le cose di poco conto, delle “note a piè di pagina del volume della vita”. Benediciamo gli scrittori “diversi”, dunque. Coloro che hanno il coraggio di sparare ad alzo zero contro il senso comune e quelli che se ne fregano se il loro romanzo venderà, se incontrerà il gusto medio del grande pubblico, perché lo scrittore di prim’ordine obbedisce solo alla sua più sincera e suprema ispirazione.

È il caso, passando al panorama editoriale odierno, di Sacha Naspini (Grosseto, classe 1976) che ha scritto, con un originale impasto linguistico, un bizzarro romanzo gotico-rurale quasi d’amore, uno dei romanzi più belli dell’anno. Assolutamente privo di buon senso, nell’accezione nabokoviana del termine. Si intitola “Le case del malcontento” e lo ha pubblicato la casa editrice  e/o. La storia si svolge in un piccolo borgo dell’entroterra maremmano scavato nella roccia, “Le case”, un paese di provincia contenitore di strade, avvenimenti, personaggi. Soprattutto di storie che si avvicendano in un turbine di trame e in rivoli di sottotrame, con un impianto complesso, corale, con il respiro lungo tipico di certi classici (quasi 500 pagine). Più di una ventina di personaggi si raccontano a turno attaccando la loro monodia, ognuno giù a raccontare la propria storia, che può diventare a seconda dei casi, quella di ognuno di noi. Dalla “grazia o il tedio a morte del vivere in provincia” (cit. Guccini), con i suoi giorni che apparentemente scorrono sempre uguali, all’universo delle nostre realtà personali; dall’inconscio del paese alle nostre coscienze personali, perché alla fine siam tutti uguali (come dice sempre Guccini).

I personaggi del romanzo e noi fuori che leggiamo. Dice Samuele, uno dei protagonisti (“un avanzo di paese”), che a “Le case” ci sono nani e assassini, briganti e pazzi. Le trame si accavallano e si scontrano, con amori tranciati sul più bello e mostri fatti di solitudine, un circo macabro in cui non mancano i momenti buffi. “Mi piace l’idea che “Le case” sia una specie di mostro”, ha detto Naspini. La morale di tanti racconti però ce la svela un personaggio, Mario, il bottegaio del paese, che prendeva tutte quelle storie sul serio. La morale è che la vita della gente non è mai sciupata. Anche se si abita in un posto dimenticato da Dio.

Sacha Naspini ha scritto con maestria un romanzo-mondo. I suoi autori di riferimento sono Luciano Bianciardi e Carlo Cassola e gli americani come Kent Haruf, Stephen King, Alice Ann Munro, tutti quelli capaci di creare appunto nuovi mondi, di reinventare territori dove agiscono le voci, di affrescare angoli del pianeta rendendoli cartina di tornasole dell’universale animo umano. L’indagine delle relazioni umane prende così avvio dalla lente della vita quotidiana di un borgo fantasma, fino al racconto di una redenzione possibile, che in letteratura avviene spesso per mezzo dell’amore, in questo caso quello della favola nera fra Samuele e Eleonora.

Torniamo a Nabokov. Nel capitolo “Buoni lettori e bravi scrittori” l’autore di Lolita dice che l’opera d’arte è sempre la creazione di un mondo nuovo da parte dello scrittore, che è insieme affabulatore, maestro e incantatore. Anche Naspini si prende la briga di reinventare un mondo che incanta e affabula, il borgo maremmano in cui è cresciuto e ha vissuto (cambiandogli il nome) e ci consegna le chiavi di accesso a un libro labirintico, a un mondo nuovo, per scoprire alla fine che in qualche modo quel mondo è anche il nostro, perché con il nostro si fonde e si contamina. I personaggi come una cosa viva, escono dal borgo-prigione ed entrano nella nostra vita; noi lettori a nostra volta restiamo prigionieri ne “Le Case”. Naspini fa dire al personaggio di Eleonora Borghi a proposito di libri, letteratura e vita: “Prendevo Orgoglio e pregiudizio e lo aprivo a caso. Mi bastava agganciare il primo capoverso che mi capitava a tiro e subito entravo nella storia. Allora abbassavo il libro sul petto e continuavo in testa, a occhi chiusi. C’erano dei passi che sapevo mandare avanti per un pezzo, a volte addirittura coprendo una pagina intera. Quando il gioco riusciva bene diventava una specie di dormiveglia, dove da una parte sentivo la voce mia, quella dei pensieri, e dall’altra ecco le scene, con i personaggi le luci e persino gli odori”. Ecco di cosa è capace la letteratura quando sa stare lontano dal senso comune.

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