Nella bozza del 29 ottobre c'era. Nella versione definitiva del 31 ottobre non c'era più. Staff di Di Maio: "Verrà inserito nel primo provvedimento utile". Prevista l'assunzione di 1000 ispettori del lavoro in 3 anni. Il sociologo Omizzolo: "Bene i controlli, ma serve uno strumento di indirizzo politico"
Nella bozza del 29 ottobre c’era. In quella del 31 ottobre, poi trasformata nella versione ufficiale bollinata e approvata dal Quirinale per la trasmissione alle Camere, non c’era più. Sono bastate 48 ore perché l’annunciato tavolo sul caporalato sparisse dalla legge di bilancio.
A pagina 20 della bozza del 29 ottobre si legge che “Il Fondo nazionale per le politiche migratorie (…) è incrementato di 3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019”. L’aumento servirà a finanziare la “spesa relativa agli oneri di funzionamento” del “Tavolo caporalato”, che viene istituito “presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali”. Il comma 3 specifica poi che l’organismo è “presieduto dal Ministro del Lavoro“, è composto da non più di 15 rappresentanti dei dicasteri di Interno, Politiche agricole e Trasporti, dell’Anpal, dell’Ispettorato nazionale del lavoro, dell’Inps, dei Carabinieri, della Finanza e delle Regioni. Ma partecipano alle riunioni anche “datori di lavoro, lavoratori del settore e organizzazioni del terzo settore”. Un organismo articolato il cui scopo è quello “di promuovere la programmazione di una proficua strategia per il contrasto al fenomeno e del connesso sfruttamento lavorativo in agricoltura”.
Neanche due giorni dopo, però, il riferimento è scomparso. All’articolo 25 della bozza del 31 ottobre è rimasto solo l’incremento del Fondo. Nessun “Tavolo caporalato”, nessuna collaborazione tra ministeri, nessuna programmazione di una strategia per contrastare un fenomeno che affligge l’agricoltura e che è emerso il tutta la propria violenza in estate, dopo i fatti di Vibo Valentia e la strage di braccianti sulle strade del foggiano.
“E’ stata tolta perché si tratta di una norma ordinamentale e non può andare nella legge di stabilità – spiegano dall’entourage del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, sotto la cui responsabilità sarebbe dovuto ricadere l’organismo – verrà inserita con un emendamento nel primo provvedimento utile”.
Era stato proprio in occasione dell’uccisione di Soumaila Sacko a San Ferdinando in Calabria che il governo aveva fatto una promessa precisa: “Il caporalato è un fenomeno complesso che non si risolve solo con una legge, ma con la presenza dello Stato“, spiegava il 4 luglio Di Maio annunciando l’apertura di un tavolo interministeriale. Con il tavolo “vogliamo monitorare – diceva Di Maio al termine di un incontro con i rappresentanti dei braccianti immigrati che avevano chiesto di essere ricevuti dopo l’omicidio – l’andamento delle leggi sulla gestione delle persone non solo in agricoltura, ma per esempio anche nella logistica” e “il diritto ad avere dei diritti minimi”.
Che l’aria fosse destinata a cambiare lo si era intuito ad agosto dopo che 16 braccianti erano morti in incidenti stradali sulle strade della provincia di Foggia, tornando dai campi di pomodori stipati in camioncini in assenza delle più elementari misure di sicurezza. “Manodopera in nero, caporalato, è un problema di mafia“, sentenziava Matteo Salvini in conferenza stampa, promettendo di rinforzare gli organici di Questura e forze dell’ordine per combattere “la criminalità che sfrutta l’immigrazione irregolare” e circoscrivendo il problema a una questione di malaffare. “Non permetto che l’agricoltura italiana venga etichettata come fuorilegge perché pochi decidono di arricchirsi con illegalità”, chiosava il capo del Viminale.
Nelle stesse ore Di Maio ne faceva un problema di mancati controlli: “Le leggi ci sono già, ma lo Stato ancora non è attrezzato per controllare – spiegava il vicepremier – Il mio obiettivo è fare un concorso straordinario per gli ispettori del lavoro perché servono più ispettori”. Promessa, questa, mantenuta nella legge di bilancio, che all’articolo 35 autorizza l’Ispettorato nazionale ad assumere “un contingente di personale ispettivo pari a 300 unità a decorrere dall’anno 2019, a 300 unità a decorrere dal 2020 e a 400 unità a decorrere dal 2021″. Mille ispettori in più da assumere in 3 anni.
“Mi sembra una risposta di basso profilo – spiega Marco Omizzolo, sociologo, responsabile scientifico della coop In Migrazione – Nella sola provincia di Latina il loro numero dovrebbe essere triplicato per riuscire a intervenire su 9mila aziende agricole. Poi ci sono quelle edili, i cantieri, la distribuzione… A prescindere dal fatto che gli ispettori del lavoro non si occupano soltanto della lotta al caporalato”. Eppure l’iter per il tavolo nazionale era stato avviato: “Avevo aiutato Luigi a organizzare quello tenuto in prefettura a Foggia a settembre – racconta Elena Fattori, vicepresidente della commissione Agricoltura in Senato – penso sia uno strumento fondamentale. Spero che sia inserito in un collegato alla manovra”.
A cosa serve un tavolo sul caporalato? “E’ un impegno che la politica prendere per mettere a confronto i ministeri competenti con persone e associazioni che sono esperte del tema – prosegue Omizzolo, che è anche ricercatore Eurispes – In assenza del tavolo manca il raccordo tra chi sa ciò che avviene nelle campagna e il decisore politico. La risposta che il governo ha deciso di dare con l’assunzione di ispettori equivale a intervenire quando lo sfruttamento è già avvenuto, mentre il tavolo serve per programmare politiche e interventi in grado di prevenirlo. Così manca uno strumento di indirizzo politico di cui il governo avrebbe potuto dotarsi per contrastare il fenomeno alla radice”.
“L’assenza di un impegno programmatico su questo tema – prosegue Omizzolo – si somma alle conseguenza del decreto Salvini, che colpisce la seconda accoglienza, ridimensionando il sistema Sprar, e rafforza la prima accoglienza, quella dei Centri straordinari. Quello che sta emergendo nei territori è un legame sempre più stretto tra caporalato e cattiva prima accoglienza, con i Cas che diventano di fatto centri in cui caporali e padroni vanno a reclutare persone da sfruttare nelle campagne. Questo avviene in Puglia, in Campania, in Calabria, nel Lazio, ma anche nel Nord Italia”.
Perché il fenomeno riguarda l’intero territorio nazionale: “Gli ultimi dati parlano di 410mila persone che nel 2017 sono vittime di grave sfruttamento lavorativo, della presenza di 26 clan rilevata nel sistema agro-mafioso. Nel 2017 le forze dell’ordine hanno registrato 3 denunce al giorno nei confronti di padroni e padrini – conclude il sociologo – da un lato la legge 199 dà risultati perché si aprono i processi, dall’altra parte c’è una politica che quando c’è il lutto dichiara guerra al caporalato e poi nei provvedimenti che prende neanche contempla il tema”.