Secondo l’indipendente “Cook Political Report” sono 73 i seggi repubblicani in pericolo; di questi, 35 sono in distretti vinti da Hillary Clinton nel 2016. Nate Silver e il suo “FiveThirtyEight” dà ai democratici sei possibilità su sette di aggiudicarsi la camera bassa. In molti ora cominciano a dirlo: la Casa Bianca rischia alla Camera
Improvvisamente, la sensazione che qualcosa non abbia funzionato si sta facendo largo alla Casa Bianca – e tra molti repubblicani. “Potrebbe accadere. Stiamo andando benissimo al Senato, ma potrebbe accadere”, ha spiegato durante un comizio Donald Trump, riferendosi alla possibilità di perdere la Camera. Giovedì, sempre durante un incontro elettorale, lo stesso presidente aveva spiegato che “due maniaci”, quello dei pacchi bomba e l’omicida della sinagoga di Pittsburgh, avevano bloccato “lo slancio repubblicano”.
Negli ultimi giorni di campagna elettorale infuriano polemiche e attacchi, ma un dato sembra ormai acquisito. I democratici, secondo molti sondaggi, hanno chance di riconquistare la Camera. Lo dicono i più importanti istituti di ricerca e sondaggisti. Secondo l’indipendente “Cook Political Report”, sono 73 i seggi repubblicani alla Camera in pericolo; di questi, 35 sono in distretti vinti da Hillary Clinton nel 2016. Nate Silver e il suo “FiveThirtyEight” dà ai democratici sei possibilità su sette di aggiudicarsi la Camera bassa (ma i democratici avrebbero chance di conquistare la carica di governatore in Stati tradizionalmente repubblicani come South Dakota e Oklahoma).
Due giorni fa più di 29 milioni di americani avevano già votato; ci sono segni che in molte aree del Paese si possa raggiungere l’affluenza delle presidenziali – cosa assolutamente non prevista, visto che alle elezioni di midterm si vota molto meno. L’early voting è significativo in Stati come Texas e Georgia, dove si presentano candidati democratici di particolare slancio come Stacey Abrams e Beto O’Rourke. In generale, l’aumento degli early voters potrebbe indicare una maggiore affluenza alle urne di giovani, afro-americani, ispanici, gruppi che tendono a favorire il Partito democratico.
E’ in questa situazione che nascono dubbi e paure repubblicane. Mike Pence, il vicepresidente, ha detto in un’intervista che “manterremo la nostra maggioranza alla Camera dei Rappresentanti”, ma che sicuramente ci sono punti su cui democratici e repubblicani potranno trovare “un terreno comune” nel prossimo Congresso. Un Congresso spaccato fa del resto paura, a Casa Bianca e repubblicani, e per molte ragioni. Sarebbe difficile, sempre più difficile, far passare iniziative legislative di rilievo. Non solo. I democratici potrebbero usare il potere di subpoena nelle varie commissioni della Camera per convocare testimoni e aprire nuovi fronti di indagine: una per tutte, particolarmente dirompente, quella sulle dichiarazioni delle tasse di Trump.
La strategia della Casa Bianca, di fronte alla probabile perdita della Camera, è comunque già pronta. E cioè, addossare la responsabilità delle sconfitte; prendersi i meriti delle vittorie. “Abbiamo organizzato 19 comizi dal Labor Day”, fanno sapere dalla Casa Bianca. Come a dire: il presidente ha girato in lungo e in largo gli Stati Uniti, non poteva arrivare in soccorso di ogni repubblicano in difficoltà. Sempre dalla Casa Bianca, attraverso un intervento di Kellyanne Conway, fanno sapere che la ragione principale della possibile sconfitta sono i 43 deputati repubblicani che non si ripresenteranno a queste elezioni di midterm. In termini di scarico di responsabilità, ci ha pensato del resto lo stesso Trump. Oltre ad accusare “i due maniaci”, il presidente ha lanciato un avvertimento trasversale a Paul Ryan, che aveva obiettato che il presidente, semplicemente, non ha il potere di modificare il 14esimo Emendamento e lo ius soli. “Ryan non ne sa nulla di diritto di cittadinanza, pensi alle elezioni”, ha detto Trump, lasciando intendere che Ryan non si è occupato a sufficienza delle sorti della sua maggioranza repubblicana.
A parte la ricerca dei colpevoli, la sensazione che prende sempre più piede tra i repubblicani è che siano comunque stati fatti gravi errori di strategia. Il partito non ha usato a sufficienza quanto promesso e realizzato in questi mesi: la crescita economica, i giudici conservatori collocati nei tribunali federali e alla Corte Suprema, l’aumento nell’occupazione, con il nuovo dato di 250 mila occupati in più soltanto nel mese di ottobre. Le elezioni di midterm sono invece diventate, ogni giorno di più, un referendum su Trump, sull’effetto di polarizzazione che la sua figura ha introdotto nella politica americana. Sia chiaro, ogni elezione di midterm è in parte un referendum sul presidente in carica; più è popolare il presidente, più il suo partito è destinato a ottenere un buon risultato.
Questa volta, però, come spesso nelle questioni che riguardano Trump, si è andati ben oltre ciò che è consueto. L’intero dibattito è stato occupato dai tweet del presidente, dalla sua retorica sempre più accesa, da scontri e insulti mai uditi prima (significativa quella parola, “ladro”, rivolta al candidato democratico a governatore della Florida, Andrew Gillum). Invece di spingere su economia e giudici – i due ambiti in cui la sua presidenza ha lasciato il segno -, Trump si è poi ancora una volta, come aveva già fatto nel 2016, rivolto ai temi dell’immigrazione. Ha moltiplicato all’eccesso l’allarme sulla carovana dei migranti. Ha parlato di un “attacco ai confini degli Stati Uniti”. Ha promesso l’invio di migliaia di soldati come argine ai migranti. Ha spiegato che dagli Stati Uniti si risponderà con le armi a chi lancerà soltanto sassi oltre al confine. E infine si è lanciato in una lunga diatriba legale e politica sulla possibilità di togliere il diritto di cittadinanza a chi nasce sul suolo americano.
Soltanto l’esito del voto dirà se la scommessa di Trump ha funzionato: spingere all’eccesso il conflitto, motivare la sua base bianca, rurale, conservatrice, per strappare una vittoria inaspettata. Ci sono voci nel partito repubblicano – per esempio Jeff Flake, che comunque non si ricandida – che sottolineano che il tentativo è destinato al fallimento, non fosse altro perché aliena buona parte della borghesia dei sobborghi urbani (quella fondamentale per molti seggi della Camera), oltre a mobilitare le comunità ispanica e afro-americana. Il presidente sa che la posta in gioco è alta e continua a seminare chilometri per gli Stati Uniti. Per il giorno delle elezioni, avrà raggiunto oltre 30 comizi e 70 eventi di raccolta di finanziamenti per non perdere la sua maggioranza al Congresso.