di Marco Gigante
Forse in pochi si sono accorti delle dimissioni del segretario del Partito Democratico, l’onorevole Maurizio Martina. Eppure, questa notizia avrebbe dovuto occupare una posizione rilevante nel dibattito pubblico italiano, non fosse altro che il Pd è il terzo partito di maggioranza del paese. Che vi sia del resto un’attenzione spasmodica su questioni futili è dimostrato dal fatto che buona parte dell’elettorato sembra essere più a conoscenza dell’ultimo congiuntivo errato di Luigi Di Maio che non delle questioni controverse che riguardano i 5stelle o i guai giudiziari della Lega. Intellettuali e giornalisti del resto non forniscono analisi utili a ricentrare il dibattito. Molti di loro infatti pongono l’attenzione su tutta una serie di questioni che sono percepite come arcaiche e ideologizzate dall’elettorato medio (il razzismo, il maschilismo e il presunto fascismo di ritorno), sì da contribuire non solo all’ascesa implacabile del leader della Lega ma anche all’accentuazione della loro marginalità nella discussione pubblica.
Si può dire pertanto che lo scontro ideologico oggi avviene in due forme distinte: nelle consuete manifestazioni di piazza – tra chi inneggia all’eroismo di un sindaco dall’operare legalitario alquanto sospetto e chi scorge nel suo arresto l’efficacia di un governo che non fa sconti a nessuno – o nella sempre più accettata contrapposizione tra sovranisti ed economisti neoliberali: i primi, ritenuti dalla intellighenzia di sinistra dei volgari populisti anti-europeisti, i secondi, dei competenti uomini di cultura che non sono al governo a causa dell’ignoranza dell’elettore medio italiano.
La drammaticità di questa contrapposizione sorda e sterile è sotto gli occhi di tutti. Non solo infatti il dibattito politico è sempre più teso a inseguire con affanno il ricambio incontrollato dei post e dei tweet dei principali leader di governo, ma la natura stessa della discussione è talmente inquinata da notizie false e contraddittorie che a forza di essere ripetute finiscono col diventare vere. Il presunto attacco dell’Europa all’Italia o l’invasione incontrollata dei migranti rappresentano in tal senso degli esempi espliciti di narrazione persuasiva verosimile. Al di là della veridicità o meno di questi affermazioni, è innegabile che la maggioranza dell’elettorato italiano, al netto di buona parte degli elettori del Pd e di qualche altra forza politica che crede invece nella narrazione contraria – ma altrettanto semplicistica – dei propri rappresentanti, ha finito con l’accettare acriticamente queste tesi e non tanto a dispetto della mancanza di strumenti concettuali per la comprensione del fenomeno, ma proprio in virtù di essa.
Così, se ad alcuni oggi basta scorgere nelle affermazioni sconclusionate di un ministro la prova “lampante” del ritorno del fascismo, ad altri è sufficiente leggere nell’aumento dello spread la conferma del complotto europeo contro l’Italia; se ad alcuni risulta più che convincente ascoltare gli insulti rivolti da un capotreno a dei rom per sostenere che si è in una deriva autoritaria, per altri è una prova inconfutabile della problematicità di tutti gli immigrati il fatto che alcuni di essi possano delinquere.
Nell’impasse di queste sterili contrapposizioni, il Partito Democratico avrebbe tutte le carte in regola per riprendere con facilità il suo slancio, ma ovviamente si guarda bene dal farlo. Le dimissioni di Martina suscitano infatti più dei compassionevoli sorrisi che non dei moti di stupore e i nuovi candidati alle primarie appaiono ancora più sbiaditi dei leader che li hanno preceduti. Forse, un buon punto di partenza potrebbe essere quello di dismettere una volta per tutte la retorica dell’antifascismo per iniziare a concepire idee e proposte all’altezza dei tempi o forse, e questo è il compito più difficile, si potrebbe prendere atto che i problemi dell’elettorato non sono soltanto percepiti ma anche drammaticamente reali.
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