La ventilata riapertura del cantiere di San Basilio in Salento, da dove parte l’ultimo tratto del gasdotto Tap, ha fomentato nuove proteste a San Foca, la cittadina balneare nei cui fondali passerà il micro-tunnel diretto al terminale di ricezione nel brindisino, oltre Mesagne. La questione ambientale è prioritaria, ma non è la sola: la millantata necessità dell’opera, ai fini di stoccare riserve energetiche, non pare confermata dai dati tecnici e dalle testimonianze raccolte.
Rimpallo di responsabilità
In realtà, l’impatto ambientale si è verificato sia sopra, che sotto il livello del mare: quest’estate, il sindaco di Melendugno Marco Potì aveva emesso un’ordinanza di chiusura cautelativa del cantiere, in seguito alle misurazioni Arpa (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) in uno dei pozzi vicini, che riscontrarono metalli quali cadmio, arsenico, nichel e soprattutto cromo esavalente – mutageno e cancerogeno – in quantità superiori alla soglia di sicurezza. Secondo il primo cittadino, il consorzio Tap non avrebbe impermeabilizzato l’area del cantiere specie intorno al pozzo di spinta, dove vengono calate le tubature d’acciaio all’interno dello scavo, protetto da una struttura di cemento. Una tecnica moderna, denominata microtunneling, che dovrebbe garantire il rispetto dell’ambiente.
Invece, proprio qui casca l’asino: il Movimento No Tap, che denuncia costantemente le magagne della procedura operativa, ha indicato il cemento scadente utilizzato per i lavori di cava, quale possibile fonte del cromo esavalente. L’uffcio Tap di Lecce ha contestato questa versione, asserendo che i metalli erano presenti già da prima, e che gli scavi li avrebbero convogliati nelle falde acquifere. Sta di fatto, che le misurazioni di Aqp (Acquedotto pugliese) non avevano mai riscontrato una contaminazione del genere. Allo stato attuale, in Provincia c’è un tavolo aperto sulla questione, per valutare tutte le perizie; sembra che alcuni valori stiano rientrando, ma le analisi sono ancora in corso.
C’è poi il problema della penetrazione degli scavi sottomarini – che dovrebbero precedere l’arrivo delle tubature a San Foca – nelle praterie di posidonia oceania e cymodocea nodosa, piante acquatiche che hanno un ruolo cruciale per l’ecosistema marino. Il rispetto di siffatto ecosistema, dovrebbe costituire condicio sine qua non per l’0ttemperanza A5, cioè il lasciapassare del micro-tunnel ai fini dell’esclusione dalla Via (Valutazione impatto ambientale) per continuare il suo percorso. Inizialmente, le prescrizioni del ministero dell’Ambiente proibivano ogni interferenza con la vegetazione, tuttavia nell’integrazione allo studio ambientale di luglio 2017, il consorzio ammise di non poterla evitare del tutto e che, in corrispondenza dell’exit point del micro-tunnel, i sondaggi subacquei avevano rilevato la presenza di circa 200 mq di Cymodocea: secondo Tap, la posidonia non verrebbe comunque coinvolta, essendo oltre quattrocento metri lontana dalle zone di scavo. Al contrario, Arpa Puglia in giugno era arrivata alla conclusione che l’interferenza fosse consistente ai danni di entrambe le specie.
Nonostante questa evidente divergenza, il ministero, il 16 aprile del 2018, ha deciso di concedere la sospirata ottemperanza, provocando le ire di Arpa e del comune di Melendugno, che lamentano la mancanza di dati appropriati, rilevata anche da Ecolabel, l’ente europeo che sovraintende la qualità ecologica dei fondali marini.
La questione energetica
Due sono i messaggi fuorvianti per l’opinione pubblica:
1. Che l’opera sia finanziata da fondi privati.
2. Che sia necessaria, ai fini delle nostre scorte energetiche e quindi del risparmio in bolletta.
Falsi entrambi. Tap è finanziata dai fondi europei, amministrati da Bei e Bers (Banca europea ricostruzione e sviluppo) quest’ultima in violazione del suo stesso codice etico, che vieta rapporti d’affari con stati autoritari come l’Azerbaijan, da dove proviene il gas. Per la parte italiana, Cassa depositi e prestiti detiene il 30% del capitale sociale di Snam, azionista del consorzio al 20%.
L’Italia, a detta dei tecnici del settore, ha una capacità totale a pieno regime pari a 144 miliardi di metri cubi, con un consumo medio annuo di 75 miliardi in netto calo tra l’altro nel primo semestre 2018. Le importazioni sono stabili e già diversificate: oltre alla Russia, i nostri fornitori sono Algeria, Libia e Olanda. Abbiamo un rigassificatore a Livorno praticamente fermo per mancanza di richiesta, con perdite fisse intorno al 70%.
La Snam ha eccessi di stoccaggio che non riesce a smaltire, che ci costano a livello di fattori di garanzia – rimborsati dallo stato – 950 milioni annui. In pratica noi paghiamo ad aziende private i loro rischi d’impresa. È proprio Snam che ha l’interesse maggiore nel buon fine dell’opera, sia per incassare gli oneri per la stesura delle tubazioni, che per puntare al mercato libero del gas, fuori dai contratti ToP (Take or Pay) a lungo termine, che prevedono pagamenti anche per quello inutilizzato. Ciò porterebbe alla liberalizzazione del prezzo, e un conseguente rincaro delle bollette. Per ora questa eventualità è stata rinviata.
Puntare alle energie rinnovabili, è il nocciolo della questione, evitando così l’inquinamento delle energie fossili: il metano, oltre a causare alterazioni climatiche superiori alla stessa Co2 del carbone, ha perdite strutturali dei condotti che oscillano dal 3% al 6%. Quando il gasdotto approderà a San Foca, l’utilizzo pubblico della sua spiaggia sarà interdetto a tempo indeterminato. Intanto San Basilio è già chiusa: un palancolato subacqueo per il successivo fissaggio del gasdotto è in corso d’opera e sarà ultimato entro fine anno. Il demanio marittimo di Otranto ha disposto un’ordinanza che vieta qualsiasi attività nella zona antistante il porto di San Foca – quali bagni, pesca, e immersioni – fino al 31 dicembre. Tutto pare ormai deciso.