Testimonianze note e nuovi atti depositati. È stata un’udienza densa quella che si è celebrata oggi davanti giudici della Corte d’assise di Roma per la morte di Stefano Cucchi. Sul banco dei testimoni due infermieri e poi il deposito da parte della pubblica accusa di intercettazioni che arrivano direttamente dalla nuova inchiesta per depistaggio in cui si ritorna sull’atto sulle condizioni di salute del detenuto modificato per un ordine superiore.
L’intercettazione: “Questi vogliono arrivare ai vertici”
Dall’inchiesta sul depistaggio emergono nuovi particolari come l’intercettazione in cui Francesco Di Sano, piantone alla caserma di Tor Sapienza indagato dice parlando con il cugino, l’avvocato Gabriele Di Sano (anche lui indagato): “Loro mi dicevano ‘non cambia nella sostanza perché è scomparso questo’: i dolori al costato sono diventati dolori alle ossa“. “Dal pm io sono andato impreparato – aggiunge – con l’ansia perché lui ti intimorisce proprio. Io non ho fatto nulla…ma il reato c’è per carità di Dio, risponderò di quello ma ripeto c’è la buona fede…per me sono identiche le due annotazione, cioè cambia solo la sintassi, e loro mi dicevano ‘no cambia nella sostanza perché è scomparso questo, i dolori al costato sono diventati dolori alle ossa”. Sempre intercettato Di Sano spiega parlando dell’annotazione sullo stato di salute di Cucchi che sarebbe stata modificata su ordine gerarchico: “Per me era un detenuto come tutti gli altri, io ho fatto più del mio dovere, l’ho fatto in maniera impeccabile…io ho eseguito un ordine in buona fede”. E poi: “Per un motivo ‘x’ hanno voluto cambiare l’annotazione – aggiunge – io questo non lo posso sapere. Se volevano nascondere qualcosa, o perché era scritta male la mia annotazione o perché l’avevo scritto con i piedi…se un mio superiore, in caso di specie in primis il mio comandante di stazione, perché io non parlo con gli ufficiali, non è che potevo parlare con il colonnello, c’è una scala gerarchica. Io l’ordine l’ho ricevuto dal comandante di stazione, la mail l’ha ricevuta lui“. “Questi vogliono arrivare ai vertici. Pensano che hanno ‘ammucciato (nascosto, ndr) qualche cosa, ma ci posso entrare io carabinericchio di sette anni di servizio a fare una cosa così grande?”. Atti che sono stati depositati nell’udienza che oggi prevedeva l’audizione di due infermieri testimoni.
L’infermiere che lo trovò morto: “Chiamò per chiedere cioccolata”
A Silvia Porcelli, del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini il geometra arrestato per droga disse di essere stato picchiato, ma che non lo avrebbe ripetuto davanti agli agenti della penitenziaria. “Nacque una questione con lui in merito a quanto beveva da alcune bottiglie d’acqua. Avrei dovuto scrivere quanto beveva – ha spiegato Silvia Porcelli -. E quando gli chiesi il perché non si capiva quanto beveva, mi rispose ‘non puoi capire, praticamente mi hanno menato i carabinieri’. Gli risposi ‘aspetta un attimo, stai dicendo una cosa molto importante’. Volevo chiamare gli agenti come testimoni, ma lui rispose ‘è inutile, non chiamare nessuno, tanto non lo ripeto'”. “Giuseppe Flauto, che già nel processo a suo carico, in cui fu assolto, ricordò il momento del decesso ai giudici ha raccontato quello vide la mattina del 22 ottobre 2009: “Lo trovai disteso su un fianco, con la mano sotto la testa. Sembrava dormire, ma non rispose”. Flauto ha ricostruito cronologicamente i suoi ‘contatti’ con Cucchi. Lo vide la sera del suo ingresso in ospedale e altre tre volte, prima di constatarne la morte la mattina del 22 ottobre. Due giorni prima, il suo primo ‘vero’ dialogo. “Lo trovai con addosso sempre lo stesso maglione dei giorni prima – ha detto – Gli proposi di cambiarsi e gli misi sul letto una busta d’indumenti che c’era sul tavolo, ma lui mi rispose che non voleva nulla, di buttarli via. L’unica cosa che ci consentì fu il cambio lenzuola. Gli chiesi cosa gli era successo perché aveva ecchimosi intorno agli occhi, si lamentava di un dolore alla schiena; mi disse che era caduto qualche giorno prima”. Poi l’ultimo giorno. “Era magro e tentai di stimolarlo a mangiare – ha aggiunto Flauto – Con il medico, nel pomeriggio, volevamo fargli una flebo perché c’erano esami che si stavano muovendo in segno negativo. Non accettò”. E la notte prima della morte, un momento ‘strano’: “Con un collega gli somministrammo la terapia. Era tranquillo, mi stupì che non mi chiese un antidolorifico. Verso mezzanotte suonò il campanello dicendo di essersi sbagliato; cosa che ripeté dopo circa un’ora, dicendo che voleva cioccolata; poi non chiamò più“. Verso le 6 di mattina, Stefano Cucchi fu trovato morto. “Tentammo di rianimarlo ma non ci fu nulla da fare. La polizia penitenziaria disse di lasciare il corpo così com’era perché doveva prima visionarlo il magistrato. Andai in infermeria, arrivò il cambio turno, lasciai le consegne, smontai”.
Altri testimoni sono stati chiamati dalla procura di Roma. Il capo della Squadra mobile di Roma, Luigi Silipo, sarà sentito in aula: la Corte d’assise di Roma, infatti, ha ammesso la richiesta d’integrazione probatoria fatta dal pm Giovanni Musarò e relativa all’attività d’indagine successiva alle dichiarazioni di uno dei carabinieri imputati, Francesco Tedesco, che ha ricostruito i fatti della notte dell’arresto di Cucchi, indicando in due suoi colleghi gli autori del pestaggio subito dal giovane. Ammesse le testimonianze di altri due poliziotti della Squadra mobile capitolina, dei comandanti delle Stazioni dei carabinieri Appia e Tor Sapienza e della sorella del carabiniere che ha fatto luce sulla vicenda.