E’ difficile valutare se siano sufficienti i soldi stanziati dal governo come garanzia per far partire la ricostruzione del ponte Morandi e il ripristino della viabilità di Genova. Perché “non risulta illustrato il metodo di quantificazione dell’importo anticipato dallo Stato” e non è stata ancora “quantificata la spesa totale che il Commissario dovrà determinare”. Lo scrive il Servizio bilancio del Senato nella nota di lettura sul decreto Genova, che è stato approvato in prima lettura alla Camera e da lunedì è all’esame delle commissioni di Palazzo Madama. Il provvedimento autorizza una spesa di 360 milioni complessivi – 30 milioni annui dal 2018 al 2029 – “per assicurare il celere avvio delle attività del Commissario e a garanzia dell’immediata attivazione del meccanismo di anticipazione“, nel caso di “mancato o ritardato versamento da parte del concessionario” Autostrade. Che come è noto dovrà pagare ma non potrà partecipare alla ricostruzione.
“Non risulta chiaro dal tenore della norma”, notano i tecnici, “se il contributo statale corrisponda ad una stima della garanzia pro solvendo dei crediti verso il concessionario ceduti a terzi oppure ad un finanziamento delle opere più urgenti; sarebbero inoltre opportune valutazioni sull’ammontare di anticipazioni che il Commissario potrà ottenere utilizzando le somme statali”.Un altro nodo riguarda i fondi a disposizione del commissario straordinario e, in senso più largo, il costo per la costruzione del nuovo ponte dopo il crollo del viadotto Morandi. Secondo quanto prevede l’articolo 1 del decreto, i fondi concessi al commissario dovrebbero essere a carico del concessionario, Autostrade. Ma se la società non pagasse, lo Stato anticiperà quei costi. Da qui il rilievo del Servizio bilancio: “Si evidenzia in generale che non risulta illustrato il metodo di quantificazione dell’importo anticipato dallo Stato – si legge nella relazione – e che non essendo stata ancora quantificata la spesa totale che il Commissario dovrà determinare, risulta difficile ogni stima sull’adeguatezza del contributo statale”. Un’osservazione già fatta dal Servizio bilancio della Camera e sostenuta più volte dalle opposizioni.
In più, “nel corso dell’esame del provvedimento alla Camera dei deputati le modifiche apportate al comma 6 hanno determinato un incremento dell’importo che il Commissario dovrà quantificare a carico del concessionario, facendovi rientrare anche tutti gli oneri che risultano necessari al predetto ripristino, ivi inclusi quelli relativi alle indennità da corrispondere agli abitanti”, ma “a fronte di tale modifica non risultano variati gli importi previsti a garanzia dell’immediata attivazione del meccanismo di anticipazione”.
Inoltre, riferito all’articolo 1 che disciplina il ruolo e le funzioni del commissario, il Servizio bilancio di Palazzo Madama evidenzia che non è stata associata un’adeguata copertura finanziaria per i dirigenti non generali (massimo 5) che potrebbero essere nominati in aggiunta a quello generale, in supporto all’attività del commissario. In particolare non è stata rimodulata l’autorizzazione di spesa fino a 1.500.000 euro per ogni anno del triennio 2018-2020 prevista inizialmente. Altro punto debole, secondo la relazione, riguarda la possibilità per il commissario di ricorrere a soggetti esterni alle pubbliche amministrazioni: “Si prende atto che non è possibile stimare gli effetti finanziari ma che essi saranno contenuti rispetto al limite massimo delle risorse previsto”. Tuttavia, continua la relazione “sarebbe opportuna una quantificazione degli oneri per il trattamento economico accessorio del personale dirigenziale e non dirigenziale”.
Infine mancano alcuni dati sul numero di pratiche di condono pendenti a Ischia e sui soldi a disposizione dei Comuni coinvolti per gestirle. Il rilievo riguarda l’articolo 25 che disciplina (nella versione emendata dalla maggioranza) le modalità di concessione del condono per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2017. I tecnici premettono che non ci sono “effetti finanziari negativi” perché “trattandosi di attività istituzionali, il lavoro che deve essere fatto dalle amministrazioni competenti per gestire le procedure di condono, si potranno sostenere con le risorse disponibili”. Tuttavia, “nonostante i chiarimenti forniti nel corso dell’esame in prima lettura, andrebbero forniti maggiori dati, quali il numero di istanze pendenti e le risorse disponibili nei Comuni interessati, al fine di comprovare che possa essere rispettato il termine di sei mesi fissato dalle norme, anche in relazione a procedure di condono risalenti da più di venti anni, per le quali evidentemente i Comuni non disponevano di sufficienti risorse”.