Busitalia spa, rampante società di Ferrovie dello Stato, è ovviamente in prima fila. Ma ci sono anche le francesi Ratp, Veolia Transdev e Koelis e l’anglotedesca Arriva. Per non parlare dei consorzi più “piccoli”, come Roma Tpl Scarl, Sita Sud o la regionale Cotral (pronti anche ad accordi con le big). Sono molti gli spettatori interessati all’esito del referendum romano del prossimo 11 novembre, promosso dai Radicali Italiani, con il quale si chiede ai 2,8 milioni di cittadini capitolini se vogliono mettere a gara i 153 milioni di chilometri totali assegnati ad Atac Spa, società del comune di Roma che ha sempre ottenuto in affidamento diretto la gestione del trasporto pubblico in città. La storica azienda romana – la più grande d’Europa con i suoi 11mila dipendenti – è in forte difficoltà: strozzata da quasi 1,5 miliardi di debiti e anni di perdite di bilancio a 9 cifre, è stata ammessa al concordato preventivo dal Tribunale fallimentare di Roma, in attesa dell’assemblea dei creditori.

IL NO DELLA RAGGI – Per questo motivo la sindaca Virginia Raggi, che si è schierata apertamente per il No, ha potuto rinnovare il contratto di servizio ad Atac fino alla fine del 2021, fra le proteste di chi – come i Radicali, ma non solo – si aspettava l’adesione alla proposta Ue di mettere a gara il servizio già nel 2019. Il segnale politico potrebbe arrivare, appunto, l’11 novembre: deve votare il 33% degli aventi diritto affinché la consultazione sia valida. “Se raggiungiamo il quorum, mi candido a sindaco”, ha azzardato il segretario radicale, Riccardo Magi, alla trasmissione radiofonica Roma Incontra. La sua sarebbe una candidatura che potrebbe piacere a un Pd romano ancora in subbuglio.

IL QUADRO ATTUALE – Ad oggi il tpl romano funziona in questo modo. Il Comune paga ogni anno ad Atac 560 milioni di euro per effettuare 153.025.644 chilometri fra bus, elettrici, filobus, tram e le tre linee di metropolitana, mentre versa altri 100 milioni di euro l’anno alla società privata Roma Tpl Scarl – un consorzio di ditte private laziali guidato dalla famiglia Cialone e partecipato anche da Umbria Mobilità e Vt Marozzi – per 28 milioni di chilometri su gomma in periferia. A decidere i prezzi dei biglietti è la Regione Lazio, mentre il trasporto è organizzato dall’agenzia capitolina Roma Servizi per la Mobilità. Ovviamente, il corrispettivo è legato all’ottemperanza del contratto di servizio. Atac, ad esempio, nel 2017 ha effettuato solo 128.717.906 chilometri (24 milioni in meno), incassando 66 milioni in meno al dovuto: solo sulla gomma, Atac ha “bucato” 15 milioni di chilometri (79,4 contro 94,2), che in euro equivalgono a 45,2 milioni di mancate entrate. I motivi sono molteplici: dalla maxi-fusione voluta nel 2010 da Gianni Alemanno, Atac è andata sempre in perdita costringendo il socio (Roma Capitale) a ricapitalizzazioni molto onerose ma che non hanno permesso la riuscita dei piani industriali che si sono succeduti. Inoltre, la flotta su gomma è datata (10-12 anni) e i programmi di acquisto dei nuovi bus procedono a rilento. La grande scommessa del Campidoglio è la “rottamazione” dei debiti attraverso il concordato preventivo, operazione che, se dovesse riuscire, potrebbe rilanciare l’azienda (nonostante questi vengano spalmati fino al 2044).

A CHI GIOVA LA “PRIVATIZZAZIONE” – “Morta zia, la casa è mia”, recita il titolo di una divertente pièce teatrale. E in effetti al capezzale di Atac da anni sono molti gli operatori che bramano di prenderne il posto. Il raggiungimento del quorum e la vittoria del sì suggerirebbe (il referendum è solo consultivo) al Campidoglio di preparare una gara d’appalto per il 2021 da 181 milioni di chilometri con una base d’asta di 560 milioni di euro, l’attuale corrispettivo pagato ad Atac. Già, perché sarebbe sempre il Comune a pagare. Il primo operatore interessato è senza dubbio Busitalia, società del gruppo Fs che si sta muovendo molto da “privata” anche all’estero, dove ha comprato l’olandese Qbuzz e, nel suo piano industriale, si è data l’obiettivo di raggiungere il 25% del mercato nazionale. Nonostante gli sforzi, però, ad oggi la società guidata dall’ad Stefano Rossi produce “appena” 100 milioni di chilometri, praticamente quanti ne fa Atac a Roma solo in superficie, e fattura 330 milioni contro 1 miliardo della società romana. Una specie di “tappo” alle brame di espansione dell’azienda ministeriale. E poi ci sono le straniere. La francese Ratp e l’anglotedesca Arriva, in particolare, da tempo hanno delle ramificazioni italiane e già gestiscono parte del trasporto pubblico locale in alcune città importanti come Firenze (attraverso la Gest) e comuni medio grandi in Toscana, Lombardia, Veneto e Friuli, raggiungendo anch’esse quota 100 milioni di chilometri anche grazie al sodalizio con imprese locali. Ancora niente da fare, invece, per altre due francesi, Veolia Transdev e Koelis, che hanno già tentato l’approccio in Campania. Anche l’italocinese King Long, in passato, aveva mostrato interesse al mercato romano. In realtà potrebbe esserci spazio per tutti, perché i Radicali pensano a una divisione in “lotti” della città, così da diversificare l’offerta e “aumentare la concorrenza”, con il trasferimento dei lavoratori di Atac alle aziende private, ipotesi non scontata vista l’enorme mole di “maestranze” presente nella società capitolina.

A ROMA IL PRIVATO C’E’ GIÀ – Ma il privato è davvero sinonimo di qualità? A Roma vi sono due realtà che sembrano confutare questa tesi. Da un lato c’e’ Cotral, società della Regione Lazio che nel 2010 era sull’orlo del baratro ma che prima Renata Polverini (attraverso il suo assessore Francesco Lollobrigida) e poi Nicola Zingaretti hanno voluto mantenere in house e rilanciato ottenendo il pareggio di bilancio e puntando con forza sul rinnovo della flotta e sulla puntualità; dall’altro c’e’ Roma Tpl, che sempre nel 2010 ha vinto la gara del Comune per la gestione del 20% del trasporto (su gomma, tutte linee periferiche) con appena lo 0,8% di ribasso, ben 800 milioni di euro in 8 anni (circa 1 miliardo, considerando i numerosi contenziosi vinti con il Comune). Soldi, questi ultimi, che non sono bastati a evitare i  disservizi – nel 2017 è mancato all’appello il 6% delle corse stabilite – i costanti ritardi nei pagamenti di stipendi e spettanze ai lavoratori (con condizioni contrattuali imparagonabili a quelli dei colleghi di Atac), e centinaia di carte bollate in viaggio fra i rispettivi studi legali. “Ci hanno sempre pagato con grande ritardo”, si lamentano i vertici di Roma Tpl che hanno intrapreso attraverso il proprio studio legale decine di contenziosi con il Campidoglio. All’ennesimo grido d’aiuto dei lavoratori, l’anno scorso l’assessora capitolina Linda Meleo aveva dapprima annunciato la rescissione in danno del contratto, salvo poi dover cedere dal punto di vista legale e addirittura prorogare l’affidamento al 2020, prevedendo la rimessa a gara dei 30 milioni di chilometri già gestiti da Roma Tpl a cui si aggiunge un altro lotto da 15 milioni di chilometri, esattamente quelli che Atac non riesce più a fare.

I FRONTE DEL SÌ E DEL NO – Il referendum è, ovviamente, anche una questione politica. Magi, lamentandosi della scarsa pubblicità istituzionale fatta al referendum, ha affermato: “Se riuscissimo a raggiungere il quorum potrei candidarmi al Campidoglio”. Una suggestione non nuova per il deputato di Più Europa, figura apprezzata in un centrosinistra romano ancora senza leader, che potrebbe trovarsi davanti alla necessità di far materializzare un candidato all’indomani della sentenza del processo Raggi sul caso Marra. D’altronde, nei giorni scorsi anche il Partito Democratico, dopo consultazione interna, ha comunicato di essersi schierato per il , nonostante il fronte interno per il No – guidato dal consigliere regionale Dem, Eugenio Patanè – sostenga il contrario. “Il ricorso alle gare europee è l’unico strumento per migliorare l’efficienza e per aumentare le percorrenze degli autobus e la qualità del servizio”, ha detto l’ex assessore e deputato del Pd, Walter Tocci. “Abbiamo visto con le autostrade, vediamo negli abnormi profitti di Aereoporti di Roma, cosa vuol dire affidare alla gestione privata un monopolio naturale come il trasporto pubblico”, ha invece commentato il leader di Sinistra Italiana, Stefano Fassina. Il dibattito, fin qui rimasto ovattato, negli ultimi giorni è stato rilanciato da un’intervista a Carlo Verdone: l’attore e regista, da sempre seguitissimo a Roma, si è schierato apertamente per il Sì, creando polemiche ma ottenendo lo scopo di alimentare la discussione.

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