Le pubblicità mirate, o “su misura” se preferite, sono in arrivo sulle nostre TV. Si tratta in sostanza di messaggi pubblicitari confezionati ad hoc in funzione dello spettatore. Per intenderci, durante la visione dello stesso programma, un quarantenne dirigente d’azienda potrebbe vedere uno spot che gli propone una costosa berlina full optional. Contemporaneamente un suo coetaneo operaio vedrebbe la pubblicità di un’utilitaria economica, magari da pagare a rate.

Negli Stati Uniti si chiama “addressable tv”, e per esserne vittime bisogna avere una Smart TV, o meglio un apparecchio abilitato HbbTv (Hybrid broadcast broadband TV). Si tratta di quelle TV che permettono la fruizione sia dei canali TV tradizionali (satellite e digitale terrestre) sia delle IP Tv collegate a Internet. Molti scelgono questi modelli perché danno accesso al video on demand (vedere i programmi quando si vuole), al pay-per-view (vedere programmi a pagamento), ad applicazioni multimediali, videogiochi, chat, social network e via dicendo.

In Europa ce ne sono già installate 44 milioni, di cui quattro milioni in Italia, e da questo dato comincia la riflessione di Nicola Bernardi, Presidente Ferderprivacy, la principale associazione italiana dei professionisti della protezione dei dati. L’esperto sottolinea come questo nuovo settore apra “criticità su vari fronti riguardanti i diritti fondamentali dell’individuo, con potenziali rischi di discriminazione e condizionamento delle opinioni personali, e non per ultimo sul rispetto della normativa sulla privacy.”

Alcune emittenti che operano nel nostro paese hanno già iniziato ad avvalersene, sfruttando tecnologie basate su algoritmi e analisi dei comportamenti. Conoscendo ubicazione geografica di ciascun utente, fascia d’età, sesso, gusti ed abitudini di consumo, le pubblicità possono essere confezionate proprio “su misura”. Inutile dire che per le aziende pubblicitarie il potenziale è altissimo: Oltreoceano quest’anno sono già stati investiti 2,25 miliardi di dollari in questo tipo di messaggi, con un incremento del 79% rispetto allo scorso anno. La prospettiva è che entro il 2022 un terzo della pubblicità totale nelle trasmissioni audiovisive sarà profilata sull’utente.

La brutta notizia è che non si possono vietare per legge messaggi pubblicitari di questo tipo. Quella buona è che esiste già un Regolamento UE (2016/679 per la precisione) che aiuta i consumatori a difendersi. Il regolamento prevede infatti che l’utente debba essere informato preventivamente, in modo trasparente, di modo che possa esprimere in modo consapevole il suo consenso. Non solo: l’utente ha il diritto di revocarlo in qualsiasi momento con la stessa facilità con cui lo ha manifestato. Inoltre, nel caso l’utente reputi che questo genere di pubblicità sia troppo invasivo, vi si può anche opporre. Se il consenso non viene chiesto nella modalità descritta? Sono previste sanzioni fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato annuo globale dell’azienda che trasgredisce.

Foto: Depositphotos

 

Come sempre, quindi, la prima arma di difesa siamo noi. Quando vedete apparire messaggi sullo schermo, non abbiate fretta di avviare il vostro programma TV preferito. Leggeteli, e se vi chiedono il consenso per qualcosa, prima di dare l’ok assicuratevi di avere capito bene per che cosa. Tenete poi a mente l’altra informazione importante segnalata da Bernardi: potete cambiare idea e revocare il consenso in qualsiasi momento. Se ritenete di non essere stati adeguatamente informati, denunciate: le associazioni per i consumatori esistono per supportarvi.

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