A Helsinki gli oltre 700 delegati del partito Popolare Europeo devono scegliere tra il capogruppo a Bruxelles - appoggiato dagli otto capi di Stato e di Governo del Ppe membri del Consiglio - e l'ex premier finlandese. "L'Ue è fondata sui valori di rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza", si legge in un documento pubblicato pochi giorni: un cartellino giallo per Viktor Orban e i sovranisti, che restano nel partito
La corsa verso le elezioni europee di maggio 2019 parte ufficialmente da Helsinki. La capitale finlandese ospita il Congresso del Partito Popolare Europeo, la più grande famiglia politica dell’Unione. Un congresso che, oltre ad ospitare i principali leader dei partiti Popolari e dettare la linea in vista del nuovo corso europeo, eleggerà anche il suo Spitzenkandidat, colui che parteciperà alle elezioni come candidato di punta per diventare il prossimo presidente della Commissione europea. La corsa a due è tra l’ex premier finlandese, Alexander Stubb, e lo strafavorito, il capogruppo al Parlamento europeo, il tedesco Manfred Weber. Ma l’occasione permetterà a tutti i rappresentanti di riallacciare nuovamente i rapporti. Con un osservato speciale: il premier ungherese, Viktor Orbán, che sembra aver perso la sfida per forzare uno spostamento del gruppo in direzione dei nuovi partiti sovranisti europei.
La sfida tra i due candidati, salvo colpi di scena, sembra già essere decisa. A dispetto della prassi, Weber potrebbe essere il candidato dei Popolari per la corsa all’ufficio al 13° piano di Palazzo Berlaymont, nonostante non abbia mai ricoperto la carica di Capo di Stato o di Governo del proprio Paese. Per trovare un caso analogo si deve tornare indietro fino al 1985, quando a capo della Commissione fu nominato il francese Jacques Delors, con una parentesi di pochi mesi, nel 1999, con la presidenza ad interim dello spagnolo Manuel Marín che andò a sostituire Jacques Santer dopo lo scandalo corruzione che travolse la sua Commissione.
Il tedesco ha già ricevuto l’appoggio degli otto capi di Stato e di Governo membri del Ppe che siedono in Consiglio europeo e dei loro rispettivi partiti: Sebastian Kurz (Austria), Bojko Borisov (Bulgaria), Nicos Anastasiades (Cipro), Andrej Plenković (Croazia), Angela Merkel (Germania), Leo Varadkar (Irlanda), Klaus Iohannis (Romania) e Viktor Orbán (Ungheria). A questi si è unita ufficialmente anche Forza Italia, quando a margine del congresso il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha annunciato l’appoggio del partito a Weber: “Abbiamo dato indicazione precisa per il candidato, voteremo per Manfred Weber – ha dichiarato – Ci sentiamo garantiti dalla sua posizione sia per quanto riguarda i temi del lavoro, dell’identità e dei valori dell’Unione che sulla battaglia sul copyright e il diritto d’autore e sulle politiche per la giustizia a livello europeo. Stubb è un amico ma la scelta è caduta su Weber”. Solo alla fine del congresso si capirà se gli oltre 700 delegati provenienti da tutta Europa decideranno di ribaltare la situazione eleggendo Stubb che, al momento, sembra ottenere l’appoggio solo dei partiti di alcuni Paesi nordici.
Se Stubb rappresenta l’ala più liberale del partito che guarda a un’alleanza a sinistra, con i Democratici di Alde e i Liberali di En Marche!, ma anche con ciò che resta dei Socialisti e, magari, anche con i Verdi, Weber rispecchia l’ala tradizionalista e conservatrice del partito. Nonostante ciò, il bavarese della Csu, in caso di nomina, dovrà essere molto abile a mantenere stabili i fragili equilibri tra le varie anime del partito. Dovrà essere un dialogatore col compito di compattare il gruppo e, allo stesso tempo, stringere alleanze senza perdere pezzi preziosi della sua formazione per strada. “La mia idea è il dialogo, io voglio parlare con tutti coloro che nella Ue rispettano i valori fondamentali, come democrazia, stato di diritto, eguali diritti fra uomini e donne che ne sono alla base. Anche che se si hanno delle forti posizioni nazionali si deve essere pronti a una partnership, al dialogo, a trovare un compromesso a livello europeo, altrimenti non può funzionare”, ha dichiarato alla stampa che gli chiedeva se pensava a possibili alleanze con il fronte sovranista europeo con il quale, già mesi fa, il politico tedesco aveva dichiarato di voler intavolare una discussione costruttiva.
Weber parla già da Spitzenkandidat, il rappresentante che, secondo la prassi inaugurata in occasione delle elezioni del 2014, viene presentato da ogni gruppo come candidato presidente della Commissione europea, dando così la possibilità agli elettori di conoscerlo prima di esprimere la propria preferenza, e sa di dover tenere conto, oltre che dei diversi sentimenti all’interno del proprio gruppo, delle linee guida che a Helsinki sono già state messe nero su bianco in una “draft emergency resolution”. Nel documento stilato in occasione del congresso, il gruppo ha stabilito gli obiettivi principali e le urgenze per il prossimo mandato “per accrescere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni” europee: “Insistiamo sul fatto che l’Unione europea è fondata sui valori di rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, il rispetto delle leggi e dei diritti umani, inclusi quelli delle minoranze”, si legge. Poi aggiungono: “Invitiamo tutti i membri del Ppe e le associazioni a rispettare, proteggere e promuovere questi principi e valori”.
Il pensiero va immediatamente all’elefante nella cristalleria dei Popolari, Viktor Orbán, che fino a qualche mese fa, forte dell’appoggio dei Paesi del Gruppo di Visegrád e di altre formazioni sovraniste europee in ascesa, aveva fatto la voce grossa a Bruxelles, promuovendo i suoi ideali “illiberali”, come li ha definiti lui stesso, infischiandosene dei valori e dei principi fondanti della famiglia europea a cui appartiene. Poi il voto favorevole di gran parte del Ppe sull’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati per l’Ungheria e gli avvertimenti lanciati dai leader Popolari, non ultimo il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, lo hanno riportato a comportamenti più in linea con il resto dei suoi compagni di partito.
Anche perché, nel frattempo, l’ondata populista, ancora in crescita, ha perso quella spinta propulsiva che sembrava poterla portare a lottare per la maggioranza alle prossime elezioni. Uscire dal Ppe per allearsi con le formazioni nazionaliste, per Orbán, poteva significare la perdita di molto peso a Bruxelles. Oggi, invece, può candidarsi a essere il ponte che Weber cerca tra il partito e le realtà sovraniste più moderate e dialoganti. Ma dai Popolari l’avvertimento è partito in maniera chiara: basta flirt con estremisti, ultranazionalisti e ultrasovranisti, “altrimenti – come ha detto Weber – non può funzionare”.