Mentre la presenza di Macron è sempre meno probabile, la cancelliera (nonostante le rassicurazioni) manderà il ministro degli Esteri. Il piano delle Nazioni Unite prevede un "progetto per la sicurezza" di Tripoli e una road map per il cammino istituzionale del Paese con il coinvolgimento di tutti gli attori principali, comprese le tribù del Sud
Un progetto per la sicurezza di Tripoli e una road map per il cammino istituzionale della Libia: sono i due elementi chiave del piano di azione che l’inviato delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano, Ghassan Salamè, presenta al Consiglio di Sicurezza in vista della Conferenza di Palermo del 12 e 13 novembre. Un vertice su cui il governo italiano punta molto, a partire dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Ma al quale non parteciperà la cancelliera tedesca Angela Merkel, come invece aveva promesso allo stesso Conte in un bilaterale di una ventina di giorni fa. Al posto della cancelliera ci sarà comunque il ministro degli Esteri Niels Annen. Pesa anche la probabile assenza del presidente della Repubblica della Francia Emmanuel Macron che è una pedina fondamentale nella stabilizzazione della Libia e che tra l’altro in questi giorni che precedono la conferenza sta vedendo molti degli attori principali per la Libia. Per la cronaca, ha invece confermato la sua presenza il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi. Sarà, peraltro, fondamentale la presenza del generale Khalifa Haftar senza il quale ogni accordo sarà inutile: il presidente Conti e il ministro Moavero lo hanno già incontrato nei mesi scorsi.
Durante le discussioni sul piano al vertice in Sicilia, spiegano fonti dell’Onu, si cercherà di costruire il massimo consenso possibile tra i partner internazionali. Ma anche tra i quattro principali attori libici invitati a Palermo, ovvero il premier Fayez al Sarraj, il generale Haftar, Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk, e Khalid Al Meshri, capo dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli. Sia pure intestandosi il ruolo di capofila, il governo italiano usa i toni della prudenza. La conferenza di Palermo, sottolinea il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, “segna un momento cruciale, non tanto per la nuova formazione di un governo in Libia e per arrivare alle elezioni, ma per trovare un punto di sintesi tra le realtà presenti in Libia e quindi per arrivare ad una pacificazione sul campo” che è necessariamente la condizione per poter andare a elezioni. “Non bisogna aspettarsi che ci siano dei documenti da firmare”, dice il sottosegretario M5s, ma “il successo che può raggiungere questa conferenza è quello appunto di riuscire a creare e a favorire un dialogo”.
Più ottimistiche le previsioni delle Nazioni Unite con un piano che parla di possibili elezioni già nel 2019. Secondo questa road map il primo pilastro è il progetto per la messa in sicurezza di Tripoli, che prevede la formazione di una forza istituzionale che dovrebbe progressivamente andare a sostituire le milizie per il controllo del territorio. Forza che dovrebbe rispondere ad un consiglio direttivo costituito dai principali ministri del Governo di accordo nazionale.
Il secondo cardine riguarda il cammino istituzionale della Libia, con la convocazione di una conferenza (o congresso) nazionale altamente rappresentativa coinvolgendo tutte le realtà politiche del Paese, comprese le aree tribali del sud, da svolgersi entro le prime settimane dell’anno prossimo. Questo potrebbe essere il primo passo per arrivare poi ad elezioni parlamentari nel 2019, appunto, per dare vita ad un nuovo organo legislativo, procedendo ad una progressiva sostituzione del Parlamento di Tobruk ma anche dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli. Il nuovo Parlamento dovrà quindi emendare la Costituzione vigente e al contempo lavorare su una legge elettorale in vista delle elezioni presidenziali, anche se in termini di tempo non si sa quanto questa fase potrebbe richiedere. Nell’ipotesi migliore si parla dell’inizio 2020. A quel punto, oltre a garantire stabilità al Paese, con un presidente e un governo eletti, la Libia avrebbe tutti quei requisiti di democrazia per liberare risorse ora bloccate con l’embargo. La road map coincide probabilmente con quello che era emerso come piano B, di cui la principale sostenitrice è Stephanie Williams, l’abile diplomatica americana che il segretario generale ha nominato il 2 luglio come vice di Salamè alla missione Onu in Libia (Unsmil), con l’incarico di gestire gli affari politici.