“Basta harraga”: basta ragazzi che “bruciano la frontiera dal Magreb via mare verso Lampedusa e l’Europa, su gommoni e barchette che non reggono. Non so chi l’abbia lanciato per primo, questo slogan mezzo italiano, ma il senso non è contro i migranti “clandestini”. Campeggia nel museo del mare, quello degli oggetti e dei ricordi collezionati da anni a Zarzis da Mohsen Lihidheb. Suona come “basta morti nel mare”. In questi giorni nella Tunisia meridionale ho cercato di rendermi conto degli andamenti e dei sentimenti relativi a queste partenze. Le statistiche non sono precise perché molti barchini e gommoni riescono a partire e arrivare senza lasciare traccia.
La sospensione dei soccorsi da navi Ong ed europee ha spinto tutto il traffico dalla Tunisia in una direzione molto più “fai da te”. Del resto per arrivare più facilmente in Francia o in altri Paesi europei è meglio non farsi registrare in Italia. Torniamo al “basta harraga”. In realtà la tentazione della partenza è stata in questi anni ed è tuttora più forte di quello che dicono le cifre. I giovani tunisini disoccupati sono milioni (poveri e disoccupati almeno tre milioni), i visti per l’Europa vengono concessi solo per ricongiungimenti familiari o dopo matrimoni: non ci sarebbe da stupirsi se in un anno a tentare la traversata fossero più di centomila. Nonostante il numero di nuovo crescente dal 2017, sembra che non ci si alzi molto dai diecimila. Ma è una realtà pervasiva, è il vicino della porta accanto.
Nei due giorni passati nel piccolo festival nell’oasi di Ksar Hallouf nell’altopiano del Dahar abbiamo per esempio incontrato un ragazzo come Aziz – che non è tra i più poveri, anzi studia cinema – che ha perso in mare uno dei suoi migliori amici. Il suo primo video (ce lo manderà, lo tradurremo) è contro gli harraga (così ha detto, è “contro” queste partenze). Il nostre referente e guida nella zona, Ayoub Zammouri, conosceva i circa 15 ragazzi della zona di Beni Keddache, ben 15, che sono morti nel naufragio di massa dell’estate scorsa davanti alle isole Kerkennah. Quindici per quella zona rurale, un po’ fiabesca e biblica nei suoi paesaggi, ma povera e abitata da poco più di 3mila abitanti. Ayoub è l’unico dei suoi fratelli a non essere immigrato in Francia, né via barcone né via ricongiungimento da minore. Sta cercando di realizzare la sua scommessa di vivere grazie al turismo ecologico nel Dahar.
“Basta harraga” lo dicono anche questi giovani, perché non vogliono più morti e funerali e perché non vogliono più sentire discorsi a senso unico, come se andare in Europa fosse o dovesse essere per sempre. Al contrario, come spiega l’artefice del Museo delle memorie del mare di Zarzis, Mohsen Lihidheb, l’approccio dev’essere aperto e il blocco dei visti dev’essere alleggerito.
L’idea è che le persone, come le idee, come il denaro, debbano poter andare, venire, circolare. Per ora gli unici che possono andare e venire liberamente siamo noi. Che potremmo davvero anche “aiutarli a casa loro” andando a passare delle belle giornate nel sud della Tunisia, tra il mare e il Sahara, spendendo anche meno di 25 euro al giorno in prodotti, trasporti e alberghi locali.