Con una delegazione italiana guidata da Vito Petrocelli, presidente della III Commissione esteri del Senato, siamo stati in missione in Cina, su invito del Dipartimento Internazionale del Partito Comunista Cinese. È stato un viaggio lungo e molto intenso, gli incontri sono stati molteplici, siamo stati ospiti di Ettore Sequi, il nostro ambasciatore a Pechino, sempre nella capitale abbiamo incontrato importanti dirigenti del partito comunista cinese, il ministro Song Tao del Dipartimento Internazionale e Wang Chao il vice ministro degli Affari Esteri Cinese. A Chongqing abbiamo conosciuto Mou Feng Jing, il presidente di uno dei gruppi di comunicazione più influenti della Cina, a Xiamen il prof. Lin Zhaohvi che è tra i massimi esperti della Belt and Road, vale a dire la nuova Via della seta.
Negli otto giorni trascorsi, il tema della Belt and Road è stato un vero e proprio mantra, i cinesi stanno puntando molto su queste nuove vie della seta prevalentemente terrestri che mirano a collegare la Cina all’Europa. Le merci saranno trasportate tramite reti ferroviarie, questo perché il controllo dei mari è un problema per la Cina. Gli Stati Uniti sono la più potente talassocrazia che la storia abbia mai avuto e non permetteranno mai che il loro dominio dei mari possa essere scalfito. Di questo, anche in maniera informale, ho avuto modo di parlarne con esponenti del Pcc, compreso anche del loro, non a coincidenza, potenziamento della flotta militare che ora per numero di navi supera quello degli Usa. L’obiettivo ufficiale è tutelare i loro mari da appetiti a stelle e strisce, se invece in futuro la Cina dovesse ambire a estendere tale controllo marino il conflitto militare con gli Usa sarebbe inevitabile.
La Cina è un Paese che sta crescendo in maniera esponenziale, a Chongqing, ma anche a Pechino, si edificano infrastrutture come se si stesse costruendo con i Lego. Dopo la rivoluzione culturale, la Cina ha perso molto della sua identità e oggi, nelle città principali sembra di essere in Occidente: l’architettura dei grattacieli, le pubblicità dilaganti, il traffico, i centri commerciali sono come quelli di una normale megalopoli europea o statunitense. Questo è inquietante perché il pensiero unico sembra aver attecchito in maniera virulenta ovunque, compreso nell’abbigliamento e persino nei pensieri dei cittadini.
L’obiettivo sembra essere solo uno: aumentare il Pil. Nella missione in Cina l’ho sentito nominare in maniera parossistica. Eppure, la crescita del Pil ha avuto dei vantaggi obiettivi: con la pianificazione economica il governo è riuscito a far uscire da una condizione di povertà estrema circa 800 milioni di persone, ora “solo” 30 milioni sono i poveri assoluti. Ma a vantaggi oggettivi sono correlate criticità inquietanti. Il consumo del suolo, che poi degenera nel land grabbing, l’inquinamento dell’acqua: a Chongqing, una megalopoli di oltre 30 milioni di abitanti, è possibile bere solo quella in bottiglia. L’aria in questa città, ma anche a Pechino, è irrespirabile e in alcuni giorni si è costretti a restare in casa dove ci sono dei purificatori. Per non parlare del superlavoro, della carenza dei diritti umani e di un materialismo becero che sembra aver spento ogni tensione spirituale.
La nuova via della seta, e in generale i rapporti economici con la Cina, sono per l’Italia molto importanti anche dal punto di vista geopolitico. Il nostro obiettivo deve essere il multilateralismo e il rafforzamento dell’Europa intesa come Comunità. La politica da attuare non deve essere quella di svendere asset e aziende strategiche come hanno fatto i governi Gentiloni prima e Renzi poi. Le nostre aziende, le infrastrutture e i porti devono restare italiani e non come è accaduto in Grecia con il Pireo che ora è cinese. Ciò che è importante è creare relazioni commerciali convenienti come quelle stipulate da Luigi Di Maio a Shanghai.
Abbiamo visitato la sorgente della Belt and Road e ci hanno spiegato che i container per l’Europa partono pieni e tornano semivuoti. L’obiettivo dei prossimi anni è quello di riempirli di made in Italy. La domanda cinese è pressoché illimitata: sono un miliardo e quattrocento milioni i potenziali clienti. Da parte cinese ho registrato buona volontà e desiderio di collaborare, ora tocca a noi liberarci da una mentalità da colonia e tornare a essere un grande Paese consapevole delle proprie potenzialità culturali ed economiche.