Boca Juniors vs River Plate. River Plate vs Boca Juniors. Centottanta minuti di calcio dispersi lungo due settimane tra sogno e disperazione. Va in scena domani, sabato 10 novembre alle 21 ora italiana, il primo, attesissimo atto della finale della Coppa Libertadores 2018. Due partite, per vivere o morire, con il derby di Buenos Aires pronto a testimoniare come il calcio non sia “solo calcio”. Una sfida eterna che dopo la gara d’andata alla Bombonera, tempio del Boca, vedrà la sua replica (e il suo epilogo) nella casa del River, il Monumental, il 24 novembre.
Non una semplice finale – La doppia sfida si è rivelata un caso d’interesse nazionale sin dalla scelta delle date, stabilite al termine di una trattativa che ha visto coinvolti, oltre alle due società, anche il presidente dell’Afa (la federcalcio locale) Claudio Tapia e il Capo di Stato Mauricio Macrì. In origine, infatti, la gara d’andata era prevista per mercoledì 7 novembre, mentre il match di ritorno si sarebbe dovuto disputare tre settimane più tardi, il 28 novembre. La vicinanza di questo secondo incontro all’approdo del G20 nella capitale argentina (30 novembre), tuttavia, ha portato alla decisione di rivedere il calendario Comnebol per ovvi motivi di ordine pubblico. Proprio per ragioni di sicurezza, il patron del River Rodolfo D’Onofrio e quello del Boca Daniel Angelici hanno poi preferito negare l’accesso allo stadio ai tifosi ospiti, optando quindi per non interrompere una “tradizione” che ormai da cinque anni vede il derby riservato ai soli sostenitori di casa. Una sconfitta per Macrì, che aveva invitato i club a valutare la possibilità di aprire le porte ai visitantes; un sospiro di sollievo per il primo cittadino di Buenos Aires Horacio Rodrìguez Larreta, che aveva invece già provveduto a vietare l’utilizzo di Plaza de la Republica e del suo obelisco per i festeggiamenti del titolo. “Come facciamo a togliere posti ai nostri tifosi per ospitare quelli avversari? Ci ammazzano!” ha spiegato D’Onofrio affossando le rassicurazioni del ministro per la Sicurezza Patricia Bullrich, che negli scorsi giorni aveva al contrario sostenuto la capacità dello Stato di “garantire la sicurezza in entrambi gli stadi e mostrare un’immagine di normalità del Paese”.
¡ESTAMOS EN LA FINAL DE LA COPA LIBERTADORES! pic.twitter.com/UW1LaBcpdZ
— Boca Jrs. Oficial ?? (@BocaJrsOficial) 1 novembre 2018
Guerra di quartiere – Per Andrés Calamaro, il più famoso cantautore d’Argentina, “la finale della Coppa Libertadores è importante quanto l’affondamento del Titanic“, anche Putin sarà sugli spalti e il centrocampista dello Zenit Leonardo Paredes (ex Boca) si sarebbe fatto espellere volutamente pur di tornare a casa per il Superclásico. Insomma, gli unici scontenti sembrano essere i membri della comunità ebraica bonaerense: l’osservazione dello shabbat, infatti, impedisce loro di andare allo stadio il pomeriggio del sabato. Per capire il motivo di tanta attesa (e di tanto odio) bisogna però scavare alle radici dei due club, all’origine di una rivalità unica e viscerale. River Plate e Boca Juniors nascono entrambe nel barrio de La Boca, rispettivamente nel 1901 e nel 1905, ma la guerra fra le due società divampa a cavallo fra gli anni ’20 e ‘30, quando i primi decidono di lasciare la zona del porto per trasferirsi nel più ricco quartiere di Nunez. Per gli Xeneizes (Genovesi, in ricordo delle origine italiane dei padri fondatori) del Boca è una coltellata nel fianco: l’accusa è di aver tradito le comuni ascendenze proletarie e di aver venduto il futbol alla causa della borghesia. Da lì, il marchio infamante di Millonarios accompagnerà per sempre il River. Ricchi e votati all’estetica del gioco questi, poveri e inebriati dalla garra latina gli altri: il duello fra le due società trascende presto i campi da gioco per trasformarsi in uno conflitto ideologico, quasi religioso. Dividendosi il podio del campionato argentino, Boca e River si sono affrontate a suon di campioni del calibro di Maradona e Sivori, di Riquelme e Crespo. Ma accanto allo sport, fra le pagine dei periodicos ha sempre fatto capolino anche l’inchiostro della cronaca. Come nel maggio 2015, quando i tifosi Xeneizes intossicarono i giocatori del River con dello spray al peperoncino costringendo al ricovero ben quattro avversari.
? ¡Buen día, Millonarios! Les dejamos la tapa de la hazaña histórica de River en Porto Alegre. ?#LaFuerzaDelMásGrande ⚪?⚪ pic.twitter.com/eX5YENqlKl
— River Plate (@CARPoficial) 31 ottobre 2018
Le storie in campo – Tra le due finali troverà spazio la pausa nazionali – il ct albiceleste Lionel Scaloni si è affrettato a specificare che non convocherà nessuno degli atleti coinvolti – ma, soprattutto, scorreranno decine di storie sudamericane. A cominciare da quelle dei due allenatori, El Mellizzo Barros Schelotto per il Boca Juniors e Marcelo Gallardo per il River Plate, bandiere in campo ora pronte a sfidare la storia dei rispettivi club per diventare leggende. El Muneco, tuttavia, non siederà sulla panchina dei Millonarios. Squalificato per quattro giornate dopo essere sgattaiolato negli spogliatoi nella semifinale contro il Gremio nonostante fosse già espulso, il tecnico è stato sanzionato poi con il daspo per aver comunicato con i suoi tramite una radio portatile. Quest’ultima punizione, però, riguarda solo l’incontro di andata alla Bombonera. “Una finale Boca-River sarebbe un sogno. Ma se perdi devi lasciare il Paese” aveva invece commentato una vecchia conoscenza del calcio italiano, Mauro Zarate. L’ex funambolo di Lazio, Inter e Fiorentina veste ora la casacca boquense e proprio il recente passaggio ai gialloblù ha garantito a lui – cresciuto nel Veléz Sansfield – la rottura dei ponti con la famiglia e indirizzato alla moglie numerose minacce di morte. Fra i suoi compagni troviamo poi il figliol prodigo Carlos Tevez e Dario Benedetto, che gli Xeneizes li ha tatuati (letteralmente) sulla pelle. Nell’angolo opposto, invece, accanto al portiere Franco Armani – titolare nella Selección ai Mondiali di Russia dopo gli orrori di Caballero – brilla il talento di Exequiel Palacios, caudillo del centrocampo nonostante i soli 20 anni, e di Rafael Borré, rapido attaccante fra i più promettenti prospetti colombiani.
Nessun pronostico – Troppe le emozioni in gioco per poter azzardare previsioni su un incontro destinato a segnare il punto di non ritorno per una rivalità la cui mistica si sta per decidere nell’ultima edizione a “due finali” di una Coppa Libertadores pronta ad accogliere dal prossimo anno la formula europea della partita secca in campo neutro. E proprio in questa imprevedibilità ribolle il fascino del Superclásico, un evento tanto unico da meritare l’ingresso nella lista delle 50 cose da fare prima di morire stilata dal The Observe alcuni anni fa. La partita del secolo: una doppia sfida che sa già di apocalisse.
Twitter: @Ocram_Palomo