Avrete spesso sentito dire che i robot ci ruberanno i posti di lavoro, che prenderanno il sopravvento, che alla fine noi umani finiremo per essere loro schiavi. Non tutti la pensano così. Un punto di vista differente che fa riflettere è quello di Toby Walsh, esperto di fama mondiale di intelligenze artificiali e professore alla University of New South Wales (Australia), intervenuto al Festival of Dangerous Ideas di Sydney. Secondo il professore “questa idea che la tecnologia plasmerà il nostro futuro e dovremo farcene una ragione è un’immagine sbagliata, perché la società può reagire e cambiare la tecnologia. Il futuro non è segnato”.
A pensarci bene, il perché è semplice: siamo noi a creare e a programmare le intelligenze artificiali, “i robot non hanno desideri propri, fanno esattamente ciò che si dice loro“. Morale: se i robot prenderanno il predominio sugli uomini non sarà per colpa loro, ma nostra. La questione è tutta qui, si fa per dire. In realtà è molto complessa ed è legata al modo in cui ciascuno di noi vede la realtà.
Pensate al mondo nel suo complesso: culture differenti, valori differenti, modi di interpretare quello che accade e di reagire. È difficile, se non impossibile, mettere tutti d’accordo e trovare un’etica comune e valori morali univoci da “trasmettere” alle macchine. Il risultato è che, nonostante i tentativi, finora si è rivelato impossibile evitare di inserire nella macchina idee “sbagliate” ed eticamente non accettabili da qualcuno.
Le ricerche degli ultimi anni sul machine learning (il processo di apprendimento delle intelligenze artificiali) ci hanno insegnato che non esistono dati storici privi di pregiudizi e scelte eticamente accettabili, almeno secondo gli standard moderni. È un problema che ritroviamo ovunque, anche nelle intelligenze artificiali di Facebook, Microsoft e Google. I database di “addestramento” hanno generato mostruosità che hanno automatizzato razzismo, discriminazione, sessismo.
Ecco perché quello che preoccupa Walsh, e che dovrebbe preoccupare tutti, è il modello che suggeriamo alle intelligenze artificiali, “l’incompetenza o le cattive intenzioni che potrebbero portare le macchine a fare qualcosa“.
E pensare che le intelligenze artificiali, se istruite in maniera corretta, potrebbero letteralmente “fare della società un posto migliore”, rendere più efficienti sanità e trasporti, per esempio. Anzi, in alcuni casi potrebbero essere “la sola speranza che abbiamo per gestire problemi come il cambiamento climatico, le crescenti ineguaglianze o il problema dei rifugiati”.
Tutto sta nella nostra capacità di indirizzare l’evoluzione tecnologica verso l’obiettivo di creare un mondo migliore per tutti. Non fra 50 anni, quando potremo solo raccogliere i frutti di quello che facciamo oggi. Secondo l’esperto i robot saranno intelligenti quanto gli umani entro l’anno 2062, dobbiamo muoverci adesso, in maniera responsabile.
Se vi sembra facile sappiate che non lo è affatto, e che lo stesso Walsh comincia a “sentirsi nervoso” al pensiero della piega che stiamo dando alla questione. Dovremmo sempre tenere presente che è la società a dare forma alla tecnologia, poi la tecnologia può plasmare la società. Se manchiamo il primo passaggio, difficilmente il secondo sarà un successo. Voi cosa insegnereste a un’intelligenza artificiale?