Poco meno di un’ora per il giudice monocratico di Roma, Roberto Ranalli, per decidere sul caso delle nomine del Comune di Roma. Virginia Raggi è stata assolta: “Il fatto non costituisce reato”. L’accusa, sostenuta dai pm Francesco Dall’Olio e dall’aggiunto Paolo Ielo, avevano chiesto 10 mesi di reclusione per il falso. I tre difensori della prima cittadina, questa mattina, hanno chiesto l’assoluzione perché fu lei a valutare le nomine a decidere. Dopo la lettura della sentenza l’esponente del M5s ha pianto e abbracciato gli avvocati e le persone che erano in aula per lei.
“Questa sentenza spazza via due anni di fango: andiamo avanti a testa alta per Roma, la mia amata città e per tutti i cittadini” il commento della Raggi dopo il verdetto del Tribunale. Dopo l’emozione la sindaca ha stretto la mano al giudice e al pubblico ministero. Su Facebook è stato poi pubblicato un post in cui tra le altri pensieri scrive: “Assolta. Con questa parola il Tribunale di Roma, che ringrazio e rispetto per il lavoro svolto, ha messo fine a due anni in cui sono stata mediaticamente e politicamente colpita con una violenza inaudita e con una ferocia ingiustificata”. Per poi aggiungere: “In questo momento ho mille pensieri ed idee che vorrei condividere. Umanamente è stata una prova durissima ma non ho mai mollato”.
L’imputata è stata assolta con la formula prevista dall’articolo 530 comma 1: “Se il fatto non sussiste se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo”. “Attendiamo le motivazioni della sentenza per un eventuale appello” afferma il pm Francesco dall’Olio.
Cuore del processo, secondo l’accusa, l’illecito perpetrato nel rispondere a una richiesta di chiarimenti della dirigente anticorruzione del Campidoglio, sul ruolo “in concreto” avuto da Raffaele Marra – all’epoca dei fatti direttore del Dipartimento Risorse Umane – nella realizzazione della nuova macrostruttura capitolina, un ruolo “solo compilativo” nell’esecuzione “pedissequa dei miei ordini”, secondo quanto riportato dalla prima cittadina nell’atto in questione. Ielo aveva parlato del “movente” politico che avrebbe spinto Raggi a mentire, ovvero la necessità di coprire non tanto il possibile abuso d’ufficio in concorso con Marra (accusa poi archiviata) quanto una possibile apertura di un fascicolo a suo carico che l’avrebbe condotta, secondo la lettura del codice etico del M5S vigente all’epoca, ad un possibile deferimento ai probiviri del partito con annesso rischio di essere espulsa (o addirittura di doversi dimettere da sindaca a poche settimane dalle elezioni). Raggi ha replicato a Ielo fornendo dichiarazioni spontanee al termine dell’udienza di ieria, ricordando che “quell’articolo del codice etico, nella prassi, non è mai stato applicato fattivamente, tant’è vero che poi è stato modificato”. A sostegno di questa tesi, la sindaca ha ricordato la vicenda di Filippo Nogarin, sindaco di Livorno indagato (e poi archiviato) nell’ambito delle indagini sulla procedura di concordato preventivo di Aamps, e di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, per alcuni appalti al Teatro Regio. “Nogarin – ha spiegato Raggi – ha detto subito di aver ricevuto notizia di reato e non è stato espulso, mentre per Pizzarotti è stato diverso perché ha nascosto le indagini, non certo perché era indagato”.
Le motivazione delle sentenza sono attese per il 10 febbraio 2019. Il giudice ha annunciato, al termine della lettura del dispositivo, che depositerà il provvedimento entro 90 giorni.