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Robot al posto dei giornalisti. È questa la soluzione per una stampa imparziale?

Questa settimana l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua (leggi “propaganda”) ha introdotto nei suoi telegiornali alcuni conduttori particolari: dei robot. Neanche quel genio di Orwell era arrivato a tanto. I cinesi accendendo le loro tv si sono trovati davanti i cloni virtuali di un paio di noti anchorman nazionali. Uno di questi conduttori presentandosi ha elencato i suoi pregi: “Non solo posso accompagnarvi 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Posso essere copiato all’infinito ed essere presente in vari luoghi per portarvi le notizie” ha detto. Ciò che però non è stato detto è che un giornalista del genere ha un altro pregio dal punto di vista del governo, il motivo per cui probabilmente è stato creato: essendo virtuale non pensa. Dunque è un giornalista privo di opinioni proprie, che non si ribella e non dà fastidio al partito. L’unica intelligenza che ha è quella artificiale, grazie alla quale ha assunto le sembianze e le espressioni facciali dei due giornalisti da cui è clonato.

Qui sta la differenza fra l’innovazione tecnologica e la manipolazione di massa. Se fosse stato palesemente un robot, ovvero con sembianze diverse dall’uomo, avrebbe avuto la funzione di un lettore artificiale che, come ogni robot, non si stanca mai. Niente di male in un robot che ci legge il giornale. La meschinità sta nel farlo sembrare umano. Secondo Xinhua la verosimiglianza è stata ricercata per offrire un’immagine “realistica anziché un robot freddo”. È questo realismo che dimostra la malafede del ministero della Propaganda cinese, il quale pur dettando le notizie a un robot vuole far credere che siano pronunciate da qualcuno dotato di pensiero critico. Molti anziani e persone poco attente poi saranno del tutto convinti di trovarsi davanti a giornalisti in carne ed ossa.

Ma proviamo a guardare oltre per un attimo. Ammesso che la trovata dei robot-giornalisti sia raccapricciante, è comunque giusto che un giornalista esprima opinioni proprie? È giusto che abbia una linea politica, che attacchi il governo o l’opposizione, oppure che cacci un giornalista dai palazzi? Ed è giusto che il governo attacchi un giornalista che si oppone? In Italia c’è poca fiducia nell’imparzialità dell’informazione anche senza robot telecomandati dal governo o da un qualche partito. Solo il 36% degli italiani è convinto che il sistema dei media sia accurato e corretto nel riportare le notizie relative alle posizioni politiche dei partiti. Credereste di più a un avatar di stampo cinese o a una conduttrice che piange leggendo un’azione commessa dal presidente Trump? È la stessa cosa. Gli americani hanno una sfiducia generale nella credibilità di giornali e tv simile alla nostra. Solo il 33% di loro crede al giornalismo statunitense.

Il motivo è che entrambi – il robot e la giornalista in lacrime – rappresentano degli estremi che non si addicono al vero giornalismo. Non perché un giornalista non possa esprimere le proprie opinioni, ma perché quando lo fa deve farlo chiaramente, senza fa passare le sue opinioni come fatti di cronaca. Lo può fare in un editoriale, in un talk show, durante una conferenza, su un blog, in un libro, ma non quando conduce un Tg o scrive un pezzo di cronaca. L’unico giornalismo credibile è quello imparziale. Ma attenzione, essere imparziale non significa non esprimere opinioni negli spazi appropriati. Significa essere coerenti con la propria linea politica indipendentemente dal partito che la porta avanti o la contrasta.

Se la tua linea è contro qualcosa – per esempio i condoni – ed è a favore di qualcos’altro – come lo stop alla prescrizione – deve restare tale indipendentemente dal partito che realizza l’una o l’altra proposta. Questo è il giornalismo che genera fiducia. Sia chiaro, non piacerà comunque a tutti, perché ogni tifoso politico sogna un giornale che faccia propaganda al proprio partito. Ma almeno quella parte di Paese che ragiona con la propria testa non perderà del tutto la fiducia nell’informazione.

Ogni tanto, segretamente, ognuno di noi sognerà un robot al posto del giornalista di turno. Altre volte vorremmo giornalisti che la pensano come noi, anche quando cambiamo idea. Ma ciò che dovremmo desiderare nei momenti di lucidità – durante la maggior parte del nostro tempo, si spera – sono giornalisti imparziali, con una testa che pensa e facce non sempre piacevoli ma umane, non ricreate al computer da qualche “guardiano dell’ordine”, come si definisce il capo della propaganda del Partito comunista.