Fu un uomo a sintetizzare, con un’immagine efficace ed energica, il ruolo delle parole: lo scrittore Carlo Levi. Nel suo diario di viaggio in Sicilia tra il 1952 e il 1955 Levi annotò: “Le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”. Ed è proprio così: le parole sono pietre, perché con esse puoi costruire, oppure puoi ferire. Se con le parole ci lavori, come fa chi insegna, forma, scrive, opera nel mondo del teatro e delle arti allora con questa potenza, che è costruttiva o distruttiva, hai l’obbligo di farci i conti, valutando l’impatto che le tue parole/pietre hanno su chi ti leggerà, ti ascolterà, si farà un’opinione anche grazie a ciò che scrivi, conoscerà fatti, imparerà, si emozionerà.
Oggi viviamo nella costante, repentina e non meditata sovraesposizione che la rete offre a chi scrive, e conviviamo con la micidiale confusione tra critica, satira, dileggio, insulto e odio. È difficile stare al passo, proprio perché è sempre meno il tempo che ci diamo per riflettere prima di scrivere e dare in pasto al mondo la traduzione dei nostri pensieri. Se però con le parole ci lavori sai – lo devi sapere – che dietro alle parole c’è il potere: nominare o non nominare, quando si tratta di informazione e comunicazione, significa dare luce, spazio, visibilità oppure occultare, nascondere, rendere inesistenti o falsare, mentire, torcere la realtà.
L’ultima brutta puntata in ordine di tempo che evidenzia la confusione e l’abuso circa le parole e la libertà di usarle senza riflettere è offerta dalla rubrica di un comico sul quotidiano trentino Adige. Non a caso la rubrica ha nel titolo la parola “ring”: l’intento dichiarato è quello di tirare pugni, perché la satira, come fa bene notare il musicista Stefano Bannò sull’altro quotidiano locale Il Dolomiti “dai tempi di Aristofane prende di mira l’ordine costituito con i suoi atteggiamenti, i suoi costumi e la sua morale, sia esso conservatore o progressista, di centro, destra o sinistra”.
Il comico in questione, però, oltre a diverse cadute di gusto e stile, in un passaggio del suo ultimo scritto intitolato Il sessismo e la generala delle carabiniere paragona il femminicidio al tacchinicidio nella ricorrenza del Thanksgiving. Le reazioni dei movimenti delle donne hanno avuto come effetto le scuse del direttore dell’Adige. Ma il problema resta: perché i giornali non sono i social, esistono una deontologia e una responsabilità che non può derogare davanti a nulla. La satira, così necessaria in epoca di populismo, fascismo e oscurantismo, è necessaria come il pane. La satira. Altro è veicolare disprezzo, sessismo, sottovalutazione di un problema drammatico e strutturale del pianeta come la violenza contro le donne. La buona notizia è che sempre più uomini prendono parola e voce contro il machismo, perché hanno inteso che il morbo nuoce anche a loro. Persino all’università (no, non in Italia) si fanno prove di cambiamento del linguaggio, senza che nessuno si senta offeso. Gli uomini veri non si sentono minacciati nella loro virilità, se si usano le parole giuste. Gli altri, meschini, sanno solo tirare pietre.