“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestra Giuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.
Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.
Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretario all’Istruzione.
Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.
Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.
Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndrangheta e sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.
Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.
Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.
Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteri ha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.
Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.
AGGIORNAMENTO
Precisiamo che il Gip presso il Tribunale di Catanzaro ha poi archiviato il procedimento nei confronti di Giuseppe Galati.
'ndrangheta
‘Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L’ex sottosegretario di Forza Italia Giuseppe Galati ai domiciliari
Dodici indagati sono finiti in carcere e altri dodici agli arresti domiciliari. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, sono coinvolti anche funzionari pubblici legati al mondo della sanità. Sequestrati dieci milioni di euro. I clan conoscevano in anticipo quali pazienti stavano per morire e imponevano i loro servizi di onoranze funebri
“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestra Giuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.
Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.
Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretario all’Istruzione.
Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.
Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.
Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndrangheta e sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.
Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.
Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.
Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteri ha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.
Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.
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(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.