Un contributo minimo, un semplice passaggio dato a un amico. Non c’è reato di istigazione al suicidio se quell’amico, salito su un treno in direzione Svizzera, ha poi scelto di togliersi la vita in una clinica. La decisionde del gip di Como su questo caso solleva nuovamente la questione del diritto all’autodeterminazione, anche se è molto diverso da quelli che hanno fatto finire sotto processo Marco Cappato e Mina Welby (per cui oggi riprende il processo a Massa per il caso Trentini, ndr). In Olanda e Belgio l’eutanasia è concessa a chi è depresso, non è chiaro se lo fosse anche Svizzera. E per questo la procura di Como aveva aperto un’inchiesta sulla morte di un ingegnere di Albavilla (Como) che nell’estate del 2017 aveva scelto di morire in un istituto elvetico.
L’uomo era cura per una depressione: malattia attestata da una lettera che aveva mandato ai servizi sociali in cui spiegava le sue intenzioni e che era arrivata a destinazione qualcuno l’uomo era già morto. Un caso diverso da quello di Dj Fabo, reso cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, che fu accompagnato a morire in Svizzera dall’esponente radicale Marco Cappato. Vicenda che solo pochi giorni fa ha portato la Consulta a chiedere un intervento normativo al Parlamento.
All’esame di pm e carabinieri vi era il ruolo di un amico dell’ingegnere che aveva accompagnato il professionista fino a Chiasso dove poi aveva preso un treno per la Svizzera. Il reato ipotizzato era istigazione al suicidio. Il suo contributo è però stato minimo e il suo apporto non è stato determinante nella scelta del suicida secondo il magistrato. Come riporta Il Giorno, il giudice per le indagini preliminari ha archiviato, su richiesta del pm, la posizione dell’uomo.
La Procura di Como aveva avviato una rogatoria per accertare quali fossero i requisiti necessari per poter accedere al suicidio assistito. L’articolo 115 del Codice penale elvetico prevede che “chiunque per motivi egoistici istiga qualcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria”. Questo non accade se “la persona che desidera morire prende ed esprime liberamente” la decisione di suicidarsi e questa decisione sia “ben ponderata e costante”.