Il giornalista Alessandro Wagner traduce e rielabora il Libro de l’arte de la mercatura dell’umanista quattrocentesco Benedetto Cotrugli per il quale “il buon mercante non deve voler guadagnare tutto, ma lasciar guadagnare anche gli altri. Dev’essere uomo d’indubbia moralità, misurato e gradevole all’aspetto”
Nel tempo dell’economia dematerializzata e della finanza selvaggia, in cui il termine businessman è sinonimo di speculatori senza volto né nome, ci si può rivolgere a un manoscritto di quasi sei secoli fa per riscoprire l’arte di “arricchirsi con onore”. Lo ha fatto il giornalista economico Alessandro Wagner, traducendo e divulgando gli insegnamenti del mercante e umanista Benedetto Cotrugli, originario di Ragusa (Dubrovnik) e ministro alla corte del re di Napoli, autore nel 1458 del Libro de l’arte de la mercatura. Un trattato, forse il primo interamente dedicato al commercio, che descrive il buon mercante come un esempio di “uomo universale”: non un avido accumulatore di ricchezze – “Se il solo tuo scopo, mercante mio, è quello di accumulare continuamente denaro su denaro, io ti considero un animale e una bestia senza cervello” – ma un “capitano d’impresa”, gentiluomo colto ed elegante, leale con i clienti e con i garzoni, pagatore puntuale, capace di individuare la giusta misura in tutte le cose. Arricchirsi con onore. Elogio del buon imprenditore, il titolo scelto da Wagner per il proprio omaggio a Cotrugli, ben sintetizza questa figura.
Il Libro de l’arte della mercatura era rimasto nell’oblio per oltre cinque secoli, a causa di una rivisitazione cinquecentesca che ne aveva banalizzato il senso ed il messaggio, prima che il manoscritto originale fosse ritrovato nel 1998 alla National Library di La Valletta, a Malta. Agli occhi degli studiosi si presentò un documento di enorme valore storiografico: l’umanista quattrocentesco, infatti, scelse di esprimersi in volgare, nonostante all’epoca la lingua usata per questo tipo di opere fosse il latino, e fu il primo a descrivere nel dettaglio il sistema contabile della partita doppia, fino ad allora attribuito all’abate Luca Pacioli. “Devi annotare il tuo capitale in questo modo – scrive Cotrugli – farai debitore la merce in tuo possesso e creditore il capitale. Ad esempio, se hai cento pezze di panni che ti costano mille ducati, scriverai così: il capitale deve avere al tal giorno del mese mille ducati per cento pezze di panni che mi trovo ad avere, avendo posto che i panni devono dare per questo medesimo importo. E così ogni partita deve essere scritta due volte, una volta facendo debitore colui che deve dare, l’altra facendo creditore colui che deve avere”.
Non solo: nelle quindici “Regole d’oro per arricchirsi con onore” – che Wagner estrae, traducendole in italiano corrente, dai quattro libri di cui si compone l’opera del mercante – ci sono insegnamenti di teoria economica, di valutazione del rischio, di customer satisfaction, nonché consigli di natura etico-morale per fare di sé stessi uomini giusti, qualità imprescindibile di ogni buon imprenditore. Ad esempio, il buon mercante non deve “avere il desiderio di guadagnare tutto, ma lasciar guadagnare anche gli altri”; dev’essere “serio, solido e posato, e rapido nel dire il prezzo giusto. E si devono guardare soprattutto dal vendere una cosa per un’altra, nonché dal falsificare la merce, perché è un peccato davvero abominevole: Iddio, il più delle volte, lo punisce anche in questo mondo”. Se ha un socio, deve “rispettarlo, onorarlo e vivere con lui in lealtà e buona fede: e comportarsi verso tutti con liberalità”. Dev’essere, inoltre, integerrimo nei costumi, nei comportamenti e nei pensieri: un “uomo di indubbia moralità, che mai ha contaminato il suo animo per frodare”. L’imprenditore-modello, poi, è misurato nel mangiare, nel bere, nelle amicizie e negli amori, e, non da ultimo, gradevole all’aspetto: una bellezza che deve trovarsi “nel volto, nei gesti e nella voce, con grazia e compostezza”.
Secondo l’imprenditore Brunello Cucinelli, che firma la prefazione al volume di Wagner, questo ritratto segna un “riscatto morale della figura del mercante, il quale in tempi antichi era visto dalle religioni come colui che non può perseguire la ricchezza senza compiere atti non sempre onesti”. Tanto che, nell’immaginario comune, il rapporto tra commercio e spiritualità è rimasto quello della parabola dei mercanti nel tempio di Gerusalemme, cacciati da Gesù mentre profanano la casa del Signore. E invece l’opera di Cotrugli è ricca di riferimenti biblici e religiosi, posti a fondamento di quell’agire etico che deve caratterizzare ogni uomo e più di tutti l’imprenditore, che vive e prospera nella fiducia e nella stima di chi gli sta intorno. Un “capitalismo umanista”, lo definisce Cucinelli, in cui la volontà di arricchirsi non prevale mai sul rispetto del prossimo e sulla consapevolezza di essere parte integrante della società civile: una forma mentis di cui si avverte più che mai l’urgenza al giorno d’oggi, in cui il conflitto sociale ha raggiunto il livello di guardia ed è diffuso il livore e l’insofferenza degli ultimi verso chi ha di più.