“Tutti i moduli con le firme rischiavano di essere nulli. Perciò si decise di ricopiarle. Ma non c’è stata alcuna volontà di commettere un falso ai danni dei nostri sostenitori. Eravamo inesperti, nessuno pensò che potesse essere una cosa tanto grave”. In questo modo Claudia La Rocca, ex consigliera regionale del M5s, ha spiegato in aula la vicenda delle firme ricopiate per presentare la lista dei pentastellati alle comunali di Palermo del 2012.

Una vicenda che è costata il processo per 14 persone: tre deputati nazionali, due regionali, otto attivisti M5s e un cancelliere del tribunale. Rispondono a vario titolo della violazione di una legge regionale del 1960 che recepisce il testo unico nazionale in materia elettorale e di falso. Tra gli accusati anche l’ex capogruppo alla Camera, Riccardo Nuti, che nel frattempo ha lasciato il movimento, e nel 2012 era candidato sindaco di Palermo, le ex parlamentari Giulia Di Vita e Claudia Mannino e gli ex consiglieri regionali Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca.

Secondo la procura, Nuti e un gruppo di fedelissimi attivisti tra cui Di Vita, Mannino e Samanta Busalacchi, pure lei sotto processo, dopo essersi accorti che per un errore di forma le sottoscrizioni raccolte erano inutilizzabili, per scongiurare il rischio di non presentare la lista, avrebbero deciso di ricopiare le sottoscrizioni in loro possesso, correggendo il vizio. Il cancelliere avrebbe dichiarato falsamente che le firme erano state apposte in sua presenza.  La Rocca è stata tra le prime ad ammettere che, dopo essersi accolti dell’errore nei dati anagrafici di uno dei sottoscrittori, si decise di ricopiare le firme raccolte per evitare, visto che mancavano tre giorni alla scadenza, di far saltare tutto. “

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