La Cassazione dà ragione alla funzionaria dell’Inps di Crotone punita e demansionata più volte per aver preteso di sapere se il proprio diretto superiore gerarchico avesse mai svolto un concorso pubblico, come prevede la legge. Alla saga di Maria Teresa Arcuri si aggiunge così un nuovo capitolo, rovinoso per l’Istituto e di parziale soddisfazione per la dipendente che tra 10 mesi andrà in pensione, senza le mansioni collegate alla sua qualifica e con un assegno inferiore a quello che avrebbe avuto se avesse tenuto la bocca chiusa. “Oggi per me è una giornata storica”, dice a caldo la signora. “Per opera di una sola donna, di una piccola cittadina di provincia, vince l’integrità della pubblica amministrazione spesso violata e usurpata a danno dei cittadini e dello Stato”.
Dopo la notifica del ricorso, lo scorso novembre, la Arcuri aveva deciso di denunciare provocatoriamente se stessa in un’aula di tribunale, dichiarando al giudice che – per mera rappresaglia alle sue iniziative di trasparenza – veniva costretta all’inerzia, pur volendo fare fino in fondo il proprio dovere e costando ai contribuenti 50mila euro l’anno di stipendio. La notizia fresca è che la suprema Corte ha rigettato quel ricorso relativo al primo disciplinare, comminato ormai sette anni fa, già risolto dalla Corte di Appello di Catanzaro in favore della dipendente dal comportamento – scrissero i giudici – “esemplare”. L’impugnazione della sentenza è andata avanti nonostante gli articoli del Fatto e i servizi delle Iene abbiano permesso di appurare in tutte le sedi che la funzionaria aveva ragione e l’ente torto al 100%, perché effettivamente non c’è stato alcun concorso, e la dirigente occupa ancora oggi il posto senza averne titolo, pur essendo ormai accertati i requisiti di nullità.
L’attenzione della stampa sulla vicenda kafkiana è stata però utilizzata nuovamente dall’ente contro la Arcuri che, mentre ancora pendeva il giudizio definitivo sul primo, a maggio 2018 riceve un altro disciplinare. A luglio la funzionaria viene sospesa dal servizio per 45 giorni senza stipendio. Nel frattempo, la Arcuri ha continuato a non far nulla (costretta) mentre la dirigente “abusiva” ha continuato a rimanere al suo posto a stipendio pieno. La svolta però si è avuta proprio grazie all’attenzione mediatica: dopo dieci anni il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio ha indetto una “conferenza dei servizi” tra le parti istituzionali coinvolte all’ esito della quale è stata accertata la illegittimità dell’assunzione dirigente nei ruoli INPS. Tant’è che l’Inps ha promosso, tra l’altro, ricorso al Tar per far dichiarare l’annullamento o la nullità della procedura di mobilità di cui ha beneficiato a suo tempo. Alla scorsa udienza del 31 ottobre il Tar ha sollevato dubbi sulla propria giurisdizione e ha rinviato il ricorso al prossimo 12 dicembre perché il consorzio impresa di provenienza (COPROSS) e la dirigente stessa hanno fatto presente di voler ricorrere al Giudice del Lavoro.
Intanto però, la pronuncia della Corte fa chiarezza sull’origine stessa della vicenda. “Non vi è stata violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della dipendente Arcuri – si legge nella sentenza – in quanto al lavoratore non può essere richiesta collaborazione da parte del datore di lavoro quando quest’ultimo intenda perseguire interessi che non siano leciti”. Soddisfatti sono i legali della signora Arcuri, Susanna Simbari e GianPaolo Stanizzi. “La Cassazione – dicono – scrive che la Corte d’Appello ha correttamente limitato la propria pronuncia alla suindicata indagine, pervenendo alla conclusione della presenza di notevoli profili di illiceità, conclusione facilmente desumibile confrontando l’art. 30 del decreto legislativo n 165/2001 con i dati risultanti nei siti istituzionali del Comune di Crotone e della Provincia di Crotone a proposito del COPROSS”.
Dall’Inps nessuna reazione. Per anni l’ente ha tentato di soffocare le denunce della funzionaria. Una volta emerse, non è stato capace di gestire la patata bollente, muovendosi in modo scomposto e imbarazzato per tentare una difesa corporativa di decisioni indifendibili, mantenute in essere anche grazie allo scaricabarile tra le autorità esterne via via investite del problema: dalla magistratura all’Anac, dalla Presidenza del Consiglio ai ministeri coinvolti, dalla Corte dei Conti ai sindacati e fino al Parlamento, dove varie interrogazioni sono state evase con risposte di mera circostanza e rimaste lì, a imperitura memoria della poca volontà di guardare l’oggetto del problema: i dirigenti assunti senza titolo aggirando le leggi dello Stato che forse non sono un’eccezione ma una piaga diffusa nelle amministrazioni. Ipotesi che spiegherebbe l’inspiegabile disinteresse degli organi preposti e delle stesse amministrazioni ad agire a tutela di se stesse. E la via crucis toccata a Maria Teresa Arcuri per veder ripristinata la legalità. La Cassazione conferma oggi la legittimità delle sue domande, a un prezzo per lei altissimo.