Duecentomila manifestanti sono scesi in piazza domenica 11 novembre per celebrare il centesimo anniversario dell’unità polacca. L’11 novembre è la festa nazionale che ricorda la ricomposizione della nazione avvenuta nel 1918. Da anni però questa ricorrenza è divenuta vetrina per le forze nazionaliste di destra che ne hanno egemonizzato il significato. Il copione si è ripetuto anche quest’ultima domenica, in una forma ancora più netta rispetto al passato.
In Polonia i nazionalisti di Diritto e Giustizia (Pis) sono al potere dal 2015. Nella loro azione di governo si sono preoccupati di ridurre gli spazi di democrazia. Come in Ungheria, è avvenuto un repulisti nel campo dell’informazione pubblica che è ora appiattita sulle posizioni dell’Esecutivo. Pesantemente minato un altro tassello dei sistemi democratici: l’indipendenza della magistratura. L’organo è stato purgato abbassando l’età pensionabile dei giudici da 70 a 65 anni e inserendo personale fedele al posto dei giudici “pensionati”. Una procedura – non la sola per quanto riguarda i provvedimenti del governo polacco – finita sotto il mirino della Commissione europea.
Dal 2015 sono state vietate decine di manifestazioni e sono stati intimiditi e sanzionati (secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International) diversi manifestanti che hanno partecipato a raduni pacifisti. Per giunta, nel 2016, sono stati estesi i poteri della polizia sino a renderla immune da procedimenti penali.
Sui diritti civili è stata ristretta la possibilità di aborto ed è fortemente ostacolato l’accesso alle procedure di aborto legale. Il governo persegue una politica fortemente natalista e invita le giovani coppie a riprodursi “come i conigli”. Una politica demografica perseguita non per fare funzionare lo Stato sociale, ma per mantenere la Polonia “bianca e cattolica”. Il flusso mondiale di migranti (del quale la provincia polacca è quasi estranea) spaventa un Paese storicamente chiuso nei confronti dell’altro. I soli accettati sono i vicini ucraini con i quali si condivide un virulento sentimento antirusso.
Nonostante tutto questo, il Pis non è il partito più a destra dello schieramento polacco. Altri movimenti, apertamente razzisti e fascisti, imperversano nelle piazze non solo l’11 novembre. Fra questi il più importante e più estremo è il Campo nazional radicale (Onr), gemellato all’interno di un’informale internazionale nera con l’italiana Forza nuova, da sempre presente, assieme agli altri gruppi europei, alla giornata dell’11 novembre. L’origine del Onr risale al 1935 quando i suoi modelli erano la falange franchista, il fascismo italiano e l’antisemitismo. Attualmente l’obiettivo politico dell’Onr è instaurare un totalitarismo cattolico e antisemita che metta al bando comunisti, omosessuali e musulmani. Uno dei suoi motti è Dio, onore e nazione.
La sfilata all’interno di uno stesso corteo del partito di governo Diritto e giustizia con gli estremisti neri esprime le complicità politiche e culturali del Pis con il Campo nazional radicale. Da parte dei rappresentanti del governo non c’è stato alcun tentativo di dissociazione o di distinguo con gli altri manifestanti. L’aspetto non è nuovo. Anche nelle precedenti occasioni, l’Esecutivo si è soffermato sui numeri dei partecipanti e sulla distesa delle bandiere polacche tacendo sui contenuti antidemocratici del raduno.
Impossibile cercare coerenze storiche considerato che la Polonia è stata devastata dai nazisti, per quanto resti più vicina e bruciante la dittatura comunista imposta dai sovietici. In questo quadro il retaggio storico ha un peso eminentemente evocativo. Il nemico è la democrazia considerata mondialista e corrotta, incapace di colmare i divari di ricchezza. Gli immigrati sono visti alla stregua di una minaccia incombente, come se fossero un esercito armato il cui è obiettivo è annientare le popolazioni locali europee.
Dopotutto la Polonia è la sesta economia europea: negli ultimi 25 anni ha conosciuto uno sviluppo alto e costante rimanendo anche indenne dalla crisi del 2008. Si è sempre pensato che la democrazia funzioni in una condizione di benessere economico. Il caso polacco mostra quanto sia pericoloso ridurre i valori della democrazia a un semplice indice numerico.