“Ho lavorato in Bombardier per 15 anni. Quando ci sono entrato avevo il sorriso sulle labbra. Era un’azienda stupenda. Un’azienda che rispettava le leggi sulla sicurezza. Era un fiore all’occhiello, come la Piaggio, la Trench, la Vitron, le aziende che sino a ieri ci davano da mangiare”.
Patrizio Lai, che fa parte della Rsu, lavora alla Bombardier di Vado Ligure da anni, ma oggi ne parla al passato, perché nei prossimi mesi la fabbrica potrebbe chiudere: “Devono capire che è un problema sociale – dice – se resto a casa io c’è una famiglia che resta a piedi, se restano a casa 50 operai, saranno 50 famiglie. Se domani resterò a casa con tre bambini non so proprio cosa fare. A 46 anni e con tre bambini anni è difficile spostarsi”.
Alla Bombardier, la fabbrica delle locomotive, le famiglie che rischiano di “restare a piedi” sono oltre 500, tante quanti gli operai che lunedì hanno e raggiunto Savona per marciare sino alla prefettura. A poche centinaia di metri dalla carcassa della TirrenoPower, e altre dozzine di relitti di un sisma economico che ha prodotto 30.000 disoccupati nella provincia di Savona, ora entra in crisi un mito dell’industria italiana.
La fabbrica delle motrici, infatti, meriterebbe una canzone di Guccini per le locomotive che ha sfornato (anche per il Frecciarossa), per la sua passata resistenza al fascismo e per la sua recente resistenza ai mercati, ma sembra che tutto ciò non basti a salvarla dai tagli decisi dalla casa-madre, una multinazionale. Il piano del gruppo, infatti, prevede o 5000 esuberi, soprattutto nel settore avio, ma anche nel settore trasporti. Solo a Vado Ligure sarebbero oltre 500.
“I lavoratori hanno uno stipendio di 800/900 euro al mese – dice Bruno Martinazzi, una specie di sosia di Bruce Willis, che, da sempre anima la Rsu Bombardier – Abbiamo un prodotto che ha mille difficoltà dovute da chi governa Bombardier, compresi i tedeschi che fanno arrivare male e poco il materiale. La locomotiva che vedete è qua solo grazie all’impegno dei lavoratori, alla loro esperienza e alla loro professionalità. Vado Ligure è, purtroppo, un reparto ‘sacrificabile’ della parte tedesca dell’azienda”.
“In questa vertenza riteniamo che il gruppo abbia delle responsabilità enormi – conferma Andrea Mandraccia, segretario Fiom Cigl – si sta verificando un momento di non ritorno, se non arrivano in tempi rapidissimi, carichi di lavoro che possono assicurare la sopravvivenza di questo sito. Nel 2019 dovremo celebrare il funerale di una fabbrica che ha oltre un secolo di storia e faremo il possibile perché questo non accada”.
Insieme alla Piaggio di Villanova d’Albenga, la Bombardier rappresenta l’ultimo bastione della grande industria nel savonese e, se venisse espugnato, questa parte della Liguria rischierebbe di diventare il sud del nord.
“Si tratta di una multinazionale che sul territorio ha preso qualsiasi tipo di commessa da parte del governo e di Trenitalia – dice Andrea Pasa, il segretario della Cgil – Bombardier ha fatto utili enormi e non ha investito un euro. La responsabilità è della multinazionale e ma è anche il management italiano che non incide. Le poche produzioni che potrebbero fare su territorio italiano le stanno dirottando in Germania. La politica nazionale deve almeno preservare le produzioni italiane perché restino in italia”.
La parola “esuberi”, cara agli uffici del personale, evoca un eccesso di energia, un’ “esuberanza” dei dipendenti. Quasi che si moltiplicassero di notte, sfidando i piani dell’azienda o che rifiutassero di scomparire spontaneamente quando non servono più. La realtà dei presunti “esuberi” è più malinconica perché sei anni di incertezza e di cassa integrazione brucerebbero l’energia di chiunque.
“Cassa integrazione vuol dire che ci rimetti dagli 8 ai 10.000 euro all’anno e per una famiglia monoreddito è una mazzata – dice Sergio, 49 anni, operaio all’assemblaggio – Ho due figli, mia moglie che lavora e abbiamo resistito. Ma se la fabbrica chiude, chi mi assume? E non so neppure se i giovani troverebbero qualcosa”.
“Come si è arrivati a questa situazione? Per disinteresse da parte dei nostri vertici e non parlo dei dirigenti locali parlo dell’azienda globale – dice Marilena Bona, impiegata – Il sito è stato spremuto il più possibile senza innovazione, senza nessuna volontà di fare investimenti sul futuro. Mi rendo conto della sofferenza miei colleghi. Noi impiegati l’abbiamo subita di meno, ma ora per tutti non ci sarà la cassa integrazione, ma il licenziamento”.
Lunedì scorso i 500 (possibili) esuberi della Bombardier che hanno marciato sino alla Prefettura di Savona, hanno attraversato una città ancora sotto shock, dopo lo tsunami che ha distrutto la costa e il rogo che ha ridotto in cenere uno degli ultimi ecomostri, l’orrendo palazzo dell’Autorità Portuale. Più di due anni fa, su pressione dei sindacati, la provincia di Savona è stata definita “Area di crisi industriale complessa”. I quindici nuovi insediamenti produttivi che dovrebbero istallarsi grazie e 40 milioni di contributi pubblici produrranno 449 nuovi posti di lavoro, ma basteranno con le ultime crisi che si sono aperte?
“La Bombardier è una delle aziende spina dorsale del savonese – dice Andrea Pasa – per l’area di crisi rappresenta un colpo duro. Se non riusciamo a trattenere qui Piaggio e Bombardier, quei 500 posti lavoro che nasceranno dalle 15 manifestazioni di interesse serviranno a poco, tenendo conto che i porti di Savona e di Vado sono fermi, che le infrastrutture risalgono agli anni 50, e che il turismo nel Savonese ha chiuso il 2018 perdendo 200.000 presenze“.
Oggi gli operai della Bombardier rischiano di trovarsi in mezzo ad una forbice: da una parte l’azienda che giura di voler restare in Italia, ma se vince una commessa porta il lavoro soprattutto in Germania; dall’altra il governo, che potrebbe garantire nuove commesse, ma potrebbe anche scegliere di aspettare una decisione definitiva dell’azienda sul sito di Vado.