“Ho guardato tutte queste donne e l’unica mi sembrava questa, ‘ma è la Mambro‘ mi hanno detto. Ho avuto paura, ho pensato che forse l’avevo vista sul giornale. Su otto foto ho detto che era quella. Cercavano di farmi dire che l’avevo riconosciuta, ma io non l’ho riconosciuta, non posso dire che era lei perché non lo so. Rimango della stessa idea, il suo volto mi ha ricordato quella signora, poi magari era solo una signora che si riposava sul prato”. Sono le parole di Mirella Cuoghi, rimasta ferita nella strage del 2 agosto 1980, che ha testimoniato davanti alla Corte d’assise di Bologna, nell’ambito del processo che vede imputato l’ex Nar Gilberto Cavallini per concorso nell’attentato. L’ex Nar è stata sentita lo scorso 30 maggio e rispondendo alla contestazione del pm che le diceva che nel corso degli anni aveva dato tre diverse versioni su dov’era quel giorno Francesca Mambro aveva risposto: “Siete stati depistati. Noi condannati sull’altare della necessità storica”
Cuoghi è la donna che il 18 novembre 1983 davanti ai magistrati Luzza, Zincani, Castaldo e Dardani riconobbe Francesca Mambro per averla vista, con indosso un maglione da tirolese, nel piazzale della stazione prima dell’esplosione: poi nel 2007 ribadì questa versione (senza però rivelare il suo nome) a Riccardo Bocca nel libro ‘Tutta un’altra strage’. “Sopra l’aiuola in mezzo al piazzale c’erano sdraiate delle persone. C’era anche una donna – ha ricordato la testimone -, vestita con scarponi, calzettoni e maglione, sotto al sole, e mi sembrava assurdo. Aveva i capelli corti e il viso pieno. Dissi a mia figlia che non sembravano nemmeno tedeschi, che è una espressione emiliana per sottolineare che invece sembravano proprio tedeschi”.
Poi, per la prima volta in una aula di Tribunale, Cuoghi ha raccontato i momenti vissuti la mattina del 2 agosto, mentre si trovava con la figlia che si era appena allontanata per andare in una farmacia di via dell’Indipendenza. “Mi sono spostata qualche metro per chiamare mia figlia, dopodiché ho sentito due mani, come uno spostamento che mi ha spinto in avanti. Mi sono trovato tra le braccia di un signore – ha ricordato commossa – che mi diceva stai zitta, stai buona, che non è successo niente. Mi faceva rabbia perché non mi mollava, l’ho guardato e lo avevo sporcato di sangue”. E ancora: “Io sanguinavo, ma mia figlia non aveva niente. C’era talmente tanto sangue che si slittava, forse era l’infermeria della stazione. Via di qua le ho detto, non volevo che vedesse tutto quel sangue, quei corpi. Sono andata in un posto dove con della carta vetrata mi hanno tirato via le schegge, poi mi hanno messo su una barella con mia figlia”. Prima di Cuoghi c’erano state altre due testimonianze. Quella di Paola Mannocci, figlia di Elisa Ferretti, morta nella sala d’attesa, e di Rolando, rimasto gravemente ferito. “Mio padre non mi disse niente, sembrava che ci fossero delle persone poco gradite – ha ricordato la donna -, vestite losche, che guardavano l’orologio, ma non seppe definirle”. E infine Roberto Romano, all’epoca vicino all’estrema destra padovana. “Conobbi Cavallini a Padova prima degli anni ’80 – ha detto – si faceva chiamare Gigi Pavan e diceva di essere uno studente”.