Pubblicata sulla rivista Science Advances, la scoperta parla - come riporta l'Ansa - italiano ed è basata sull'analisi dei campioni di rocce prodotte dal magma relativo a 23 eruzioni avvenute nell’arco di 60.000 anni. Un anno fa anche la rivista Nature aveva pubblicato uno studio sull'irrequietezza del supervulcano
È da tempo sotto osservazione degli scienziati, perché è il più pericoloso d’Europa. Il supervulcano dei Campi Flegrei (Napoli) è entrato in un nuovo ciclo di attività e si starebbe ricaricando. Non è possibile comunque stabilire se questo fenomeno potrebbe portare in un futuro lontano a una grande eruzione, o se il vulcano sarà destinato solo a piccole eruzioni come quella avvenuta 500 anni fa, i cui danni non andarono oltre il raggio di un chilometro. Pubblicata sulla rivista Science Advances, la scoperta parla – come riporta l’Ansa – italiano ed è basata sull’analisi dei campioni di rocce prodotte dal magma relativo a 23 eruzioni avvenute nell’arco di 60.000 anni. Un anno fa anche la rivista Nature aveva pubblicato uno studio sull’irrequietezza del supervulcano.
A suggerire l’ipotesi che il vulcano sia all’inizio di una nuova fase evolutiva sono stati i resti dell’ultima eruzione, che nel 1538 ha fatto nascere un piccolo cono di tufi e scorie, il Monte Nuovo. Alla ricerca, coordinata dalla vulcanologa Francesca Forni, della Nanyang Technological University di Singapore, hanno partecipato Gianfilippo De Astis, dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia (Ingv), e Silvio Mollo, dell’università Sapienza di Roma. Le rocce esaminate comprendono quelle prodotte dal magma di due eruzioni catastrofiche, note come Ignimbrite Campana, avvenuta circa 39.000 anni fa, i cui flussi di magma frammentato e gas seppellirono due terzi della Campania, e la successiva del Tufo Giallo che risale a 15.000 anni fa. Le previsioni contenute nella ricerca sono state possibili analizzando le deformazioni del suolo nei Campi flegrei, ossia il sollevamento e abbassamento del suolo (bradisismo) e comparandole con il tasso di sismicità dell’area.
Le due eruzioni fecero sprofondare parte del territorio flegreo, dando origine ad una caldera complessa che oggi rappresenta la struttura più evidente dell’area. Studiando i campioni, i ricercatori hanno notato “che nell’attività dei Campi Flegrei c’è una ciclicità”, ha detto all’Ansa De Astis. Dopo lo stadio in cui si verifica un’eruzione massiccia di magma che porta alla formazione di una caldera, il vulcano entra in un periodo di piccole e più frequenti eruzioni causate da piccole tasche di magma, rimaste negli strati di crosta superficiali.
“Successivamente – ha spiegato il vulcanologo – l’alimentazione delle eruzioni si dirada e può avvenire solo attraverso tasche di magma o attraverso l’arrivo di nuove piccole quantità dello stesso. In ogni caso la tendenza è verso piccole eruzioni come quella del Monte Nuovo. Per dare luogo a una grande eruzione è necessario che il serbatoio di magma si ricarichi e cresca”.
Secondo lo studio, i Campi Flegrei sarebbero nella fase di “lenta e progressiva ricarica del serbatoio perché il magma dell’eruzione del Monte Nuovo ha caratteristiche simili, ad esempio nella composizione e nel rapporto tra vetro e cristalli, a quelle delle fasi iniziali delle eruzioni che hanno preceduto le due catastrofiche del passato”. Questa nuova fase, secondo l’esperto, potrebbe essere lunghissima, dal momento che prima del Monte Nuovo, a esempio, il vulcanismo flegreo era stato in ‘silenzio’ per 3000 anni. Tuttavia, poiché non ci sono evidenze geofisiche e sperimentali (come le informazioni contenute nelle onde sismiche che riescono a radiografare l’interno della Terra) che si stia formando il serbatoio può darsi anche che “Campi Flegrei non produca più alcuna grande eruzione, ma solo piccole eruzioni dovute alle tasche di magma. Anche per queste però non vi sono segnali imminenti”. La ricerca, precisa l’Ingv, ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile.