È il dato emerso mercoledì mattina durante la seduta della commissione giustizia del Senato, quando il sottosegretario ai rapporti col parlamento, Guido Guidesi, ha risposto a un’interrogazione della vicepresidente del Senato
“Nei giorni scorsi il ministero ha sollecitato nuovamente la definizione del procedimento chiedendo di ricevere informazioni”. “Mi sarei aspettata un po’ di concretezza sui passi compiuti e non sulle intenzioni”. Sulla richiesta di arrestare i due manager della ThyssenKrupp Acciai Speciali, l’ex ad Harald Espenhahn e il dirigente Gerald Priegnitz, condannati rispettivamente a 9 anni 8 mesi di carcere e 6 anni e 10 mesi per il rogo dell’acciaieria di Torino tra il 5 e il 6 dicembre 2007 in cui persero la vita sette operai, la Germania non ha ancora preso una decisione e il governo italiano si muove timidamente.
È il dato emerso mercoledì mattina durante la seduta della commissione giustizia del Senato, quando il sottosegretario ai rapporti col parlamento, Guido Guidesi, ha risposto a un’interrogazione della vicepresidente del Senato, Anna Rossomando (Pd), rivolta al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. L’onorevole torinese voleva sapere quali iniziative fossero state attivate dal governo verso le autorità tedesche. Non molte.
Le procedure per far sì che i due manager condannati scontino la loro condanna è cominciata più di due anni fa. Il 13 maggio 2016 la corte di Cassazione aveva confermato le condanne stabilite dalla corte d’assise d’appello di Torino il 29 maggio 2015. Subito dopo gli imputati italiani si consegnavano alla giustizia per cominciare a scontare la pena, mentre il 16 maggio la procura generale di Torino spiccava due mandati d’arresto europeo a cui seguiva la richiesta del ministero della Giustizia di estradare i due manager.
“La corte d’appello di Hamm non ha tuttavia concesso l’estradizione – ricorda la nota di via Arenula – in base al principio generale secondo cui all’estradizione richiesta è ostativa la mancata prestazione del consenso da parte dei cittadini tedeschi condannati”. Fatto questo tentativo, bisognava prendere un altro cammino, quello che portava all’espiazione della pena in Germania. “Il 30 novembre e il 17 gennaio 2017 il ministero della Giustizia ha trasmesso alle competenti autorità tedesche la predetta certificazione corredata dalla sentenza esecutiva pronunciata dalla corte d’assise d’appello di Torino il 29 maggio 2915, con relativa traduzione in lingua tedesca”.
In parallelo si era attivava la rete diplomatica con due incontri avvenuti un anno fa: l’ambasciatore italiano a Berlino sensibilizzava sul tema il sottosegretario alla giustizia Christian Wirtz e il console generale a Colonia ne parlava a un funzionario del ministero della Giustizia del Nord Reno Vestfalia. Non bastava: a sorpresa il tribunale di Essen ha chiesto la traduzione di tutte le motivazioni delle sentenze “nonostante ciò non fosse previsto” dalla “Decisione quadro” che regola il reciproco riconoscimento alle sentenze penali nell’Unione europea. La procura generale di Torino ha dovuto quindi cercare degli interpreti capaci di tradurre questa mole di documenti, caratterizzati da un linguaggio molto tecnico. Il lavoro è stato concluso a luglio e le traduzioni sono state inviate in Germania il 6 agosto scorso.
A settembre la procura di Essen è tornata a chiedere la carcerazione di Espenhahn e Priegnitz per la durata di cinque anni (la pena massima prevista in Germania per i reati accertati), ma – passati due mesi – da allora i giudici non hanno ancora preso una decisione. “La posizione del governo è quindi quella di seguire con particolare apprensione ed attenzione tale fase esecutiva riproponendo sovente l’esigenza della immediata conclusione della vicenda”, ha affermato Guidesi. “Mi sarei aspettata un po’ di concretezza sui passi compiuti e non sulle intenzioni – ha detto la vicepresidente del Senato -. Thyssen è una ferita aperta per il nostro Paese, Bonafede deve incontrare il ministro tedesco e chiedere e venga rispettata la giurisdizione italiana, che venga eseguita la sentenza di condanna e che venga data risposta alla domanda di giustizia dei parenti delle vittime e di un’intera comunità”.