Bisogna sfatare una leggenda metropolitana. Chi andrà a messa nei prossimi mesi si accorgerà subito che il Gloria e il Padre nostro non sono ancora cambiati. Cos’è successo allora? Dopo un lungo cammino di riflessione durato ben 16 anni e diverse traduzioni, la Conferenza episcopale italiana, riunitasi in Vaticano in assemblea straordinaria, ha approvato quasi all’unanimità il nuovo messale romano, ovvero il libro che riporta i formulari delle celebrazioni eucaristiche. Al suo interno ci sono numerose modifiche, tra le quali quelle che riguardano il Gloria e il Padre nostro.
Si tratta di un passaggio fondamentale, auspicato recentemente da Papa Francesco, ma prima ancora, 30 anni fa, dai cardinali Giacomo Biffi e Carlo Maria Martini, il primo teologo e il secondo biblista. Ora la terza edizione del messale romano dovrà essere approvata dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti guidata dal cardinale africano Robert Sarah. Solo dopo l’ok della Santa Sede, per il quale è prevedibile che ci vorranno diversi mesi, il testo sarà mandato in stampa e sarà decisa la data di entrata in vigore obbligatoria. Al momento, come hanno spiegato i vertici della Cei, non è prevedibile il tempo in cui sarà pubblicata la terza edizione del messale romano. C’è chi spera che possa entrare in vigore nella prima domenica d’Avvento del prossimo anno, ovvero il 1° dicembre 2019.
“Il testo della nuova edizione – ha precisato la Cei – sarà ora sottoposto alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza, ottenuti i quali andrà in vigore anche la nuova versione del Padre nostro (‘non abbandonarci alla tentazione’) e dell’inizio del Gloria (‘pace in terra agli uomini, amati dal Signore’)”. Bergoglio aveva spiegato di non essere per nulla d’accordo sulla versione italiana del Padre nostro: “Non è una buona traduzione quella che parla di un Dio che induce in tentazione. Quello che ti induce in tentazione è Satana”. Il Papa aveva, invece, lodato la Conferenza episcopale francese per aver “modificato la preghiera in ‘non mi lasci cadere in tentazione’”. Perché, aveva aggiunto Bergoglio, “sono io a cadere, non è Dio che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Chi ci induce in tentazione è Satana, è questo il mestiere di Satana”.
Ora con la nuova traduzione voluta dalla Cei l’indicazione di Francesco è stata accolta pienamente anche in Italia. Una scelta che ha suscitato numerose polemiche e perplessità e che, in futuro, è destinata a non essere accolta serenamente dai fedeli. È evidente, infatti, che cambiare una preghiera a dir poco collaudata creerà numerose difficoltà soprattutto durante le celebrazioni eucaristiche. Ma è una scelta che andava fatta in modo coerente con la versione greca della preghiera insegnata da Gesù.
In 2mila anni di storia molto si è scritto sul Padre nostro. Il regista americano Mel Gibson nel suo celebre colossal La passione di Cristo l’ha riproposta al mondo in aramaico facendola così sentire nella lingua di Gesù. Anni prima il poeta francese Jacques Prévert l’aveva parafrasata col suo stile acuto in una versione tra le più conosciute apprezzate della letteratura mondiale: “Padre Nostro che sei nei cieli, restaci. E noi resteremo sulla terra che qualche volta è così attraente con i suoi misteri di New York e i suoi misteri di Parigi che ben valgono i misteri della Trinità”. Chissà cosa direbbe oggi Prévert, all’epoca ferocemente criticato per la sua versione poetica, vedendo che anche la Chiesa ha cambiato il Padre nostro.